di Clara Varano – Vibo Valentia, Catanzaro, Lamezia e zone dello ionio cosentino, fino alla Sibaritide, e catanzarese, almeno fino a Squillace. Sarebbe questa l’estensione della longa manus della ‘ndrina di Cutro che fa capo a Nicolino Grande Aracri. Lui, il boss, detto “Manuzza” aveva deciso di creare nella locale di Cutro, quella che può definirsi come la criminalità gemellata a Reggio Calabria. Tutto passava da lui, anche gli “affari” regolati da altre ‘ndrine della zona. E’ quanto è emerso dalla conferenza stampa che questa mattina, la Procura di Catanzaro, una delle tre coinvolte nell’operazione Aemilia (Qui la notizia).
Lo conferma anche Giuseppe Giampà, noto collaboratore di giustizia di Lamezia, che tutto passava attraverso Nicolino, qui, come in altre zone d’Italia (Approfondisci arresti in Emilia e nelle altre regioni).
L’ascesa di Nicolino Grande Aracri e del clan omonimo, è successiva all’arresto e poi all’omicidio di Antonio Dragone, avvenuto nell’ambito della violenta faida per la supremazia sul territorio crotonese. Ad uccidere Antonio Dragone, secondo gli inquirenti, e la giustizia almeno fino all’Appello così ha ritenuto, è stato Giovanni Abramo. Mandante del delitto “Manuzza”, che dopo l’arresto di Dragone, aveva iniziato a dettare legge su tutto il territorio.
Così, col trascorrere del tempo, da capo della locale di Cutro, in provincia di Crotone, ha assorbito all’interno della sua ‘ndrina territori limitrofi, fino a sconfinare in tutte le province con vicinanze anche alle cosche reggine. A testimoniare che Grande Aracri voleva creare una ‘ndrangheta di vertice come quella reggina, anche le numerose partecipazioni, sue o dei suoi sodali a matrimoni di parenti celebrati nel reggino, a San Luca, e nel vibonese, come quello di un Bonavota.
Presente alla conferenza stampa, oltre al procuratore della Dda di Catanzaro Vincenzo Lombardo, anche il procuratore della Dna di Roma, Leonida Primicerio che ha sottolineato l’importanza delle “indagini calabresi, per la svolta dell’inchiesta in emilia Romagna. Un risultato – ha aggiunto Primicerio – che va oltre i territorialismi, anche perché ci si è resi conto che la ‘Ndrangheta è ovunque ed è dalla Calabria che bisogna partire per comprenderne le ramificazioni”.
Le indagini hanno anche messo a nudo, un coacervo di professionalità, ambienti massonici e di vari Enti, legati alle consorterie criminali. “Prova ne è – ha specificato Lombardo – la presenza nelle carte di noti avvocati che facevano riferimento per qualunque decisione da prendere a Grande Aracri”.
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