• Zone franche urbane. la Regione boccia Catona e Pellaro, ma i criteri lasciano perplessi

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    di Rocco Iemma – Il 5 agosto scorso, come noto, sono scaduti i termini per la valutazione ad opera delle Regioni delle proposte di individuazione delle Zone Franche Urbane pervenute dai Comuni e per la trasmissione delle relazioni tecniche al Ministero dello Sviluppo Economico. Secondo la Deliberazione del Cipe n. 5 del 30 gennaio 2008

    e secondo la Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico, Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione, n. 14180 del 26 giugno 2008, le Regioni hanno dovuto: ricevere le proposte progettuali dalle amministrazioni comunali; accertarne la rispondenza ai criteri demografici, dimensionali e socioeconomici prescritti; verificare la corretta misurazione dell’indice di disagio socioeconomico; giudicare in ordine alla coerenza e alla compatibilità con eventuali programmi e politiche di investimento nell’area proposta; se opportune, valutare forme e modalità di co-finanziamento per un maggiore impatto dell’intervento; trasmettere al Ministero una relazione tecnica individuando, con adeguata motivazione, le proposte di interesse prioritario.

    Con Deliberazione n. 530 del 4 agosto 2008, la Giunta Regionale calabrese ha quindi stabilito la graduatoria tra le proposte pervenute e ammissibili.

    Nell’ordine: Crotone, area “Retroporto”, punteggio 19,00; Lamezia Terme, “Torrenti-Rotoli” (preferita a “Centro storico”, esclusa dalla valutazione conclusiva per minore punteggio), 15,86; Rossano, “Quartieri Aterp”, 13,74; Vibo Valentia, “Marinate”, 11,52; Cosenza, “Centro storico”, 10,64; Corigliano, “Centro storico”, 10,35; Reggio Calabria, “Catona”, 10,28 (proposta “Pellaro” non ammessa a priori per un tasso di disoccupazione inferiore alla media comunale).

    Il provvedimento, pubblicato sul Bollettino Ufficiale n. 17 del 1° settembre 2008 con allegata la Relazione Tecnica, merita qualche approfondimento su alcuni aspetti specifici.

    E’ bene precisare, a scanso di equivoci, che un’attenta lettura dei citati provvedimenti del Cipe e del Mise-Dps porta alla conclusione, nonostante criteri di ammissibilità e parametri di selezione oggettivi e stringenti, che alle Regioni sia stato attribuito un certo margine di discrezionalità nella valutazione, quantomeno in quella relativa alla definizione delle priorità.

    Tale discrezionalità, comunque, non può trascurare la ratio della norma e lo scopo delle agevolazioni, che per storia e secondo le norme istitutive contenute in Legge Finanziaria 2007, nel testo sostituito dalla Legge Finanziaria 2008, è quello di “contrastare i fenomeni di esclusione sociale negli spazi urbani e favorire l’integrazione sociale e culturale delle popolazioni abitanti in circoscrizioni o quartieri delle città caratterizzati da degrado urbano e sociale”.

    In questa ottica, non può non suscitare qualche perplessità, sotto il profilo tecnico e tralasciata ogni altra considerazione, il metodo seguito per il calcolo del punteggio totale assegnato alle singole proposte comunali.

    Al valore attribuito alla coerenza e alla compatibilità con eventuali programmi e politiche di investimento nell’area proposta, prima, e alle modalità di gestione e co-finanziamento, poi, è stato infatti sommato un indice di disagio socioeconomico “comunale”, che si è rivelato decisivo ai fini della graduatoria.

    E’ la stessa Giunta Regionale a spiegare che, in tal modo, “ha inteso privilegiare i comuni candidati che evidenziano maggiori problematiche di sviluppo socioeconomico” in coerenza col proprio interesse ad “adottare politiche di incentivazione ed investimento verso quei comuni con maggiori difficoltà economiche e sociali”.

    Orbene, pur ammettendo che tale motivazione politico-economica sia compatibile e sovrapponibile agli scopi originari del dispositivo, emerge come al disagio socioeconomico dell’area proposta, che pure è fondamentale secondo la legge, non sia stato attribuito grande rilievo.

    Il punteggio, cioè, appare più come un valore attribuito all’operato del Comune nella redazione del progetto e alla sua condizione generale sotto il profilo sociale ed economico, che come un giudizio di priorità tra proposte di individuazione di Zona Franca Urbana.

    Se è vero, infatti, che esso è il risultato esclusivamente della somma del valore attribuito alla coerenza e alla compatibilità con eventuali programmi e politiche di investimento nell’area proposta, più il valore attribuito alle modalità di gestione e co-finanziamento, più l’indice di disagio socioeconomico del Comune e non dell’area infracomunale candidata, è vero allora, paradossalmente ma non troppo, che un Comune, riproducendo programmi, politiche di investimento, modalità di gestione e co-finanziamento, avrebbe potuto indifferentemente proporre come Zona Franca Urbana qualsiasi area sul proprio territorio, fatti salvi ovviamente i requisiti di ammissibilità, e nulla sarebbe cambiato nella classifica, che invece dovrebbe essere tra proposte e aree proposte, va ribadito, e non fra Comuni.

    Ciò perché sono i quartieri e le circoscrizioni i destinatari di esenzioni e agevolazioni, non i Comuni la cui condizione, limitatamente ai dati demografici e sulla disoccupazione, conta solo per la ammissibilità.

    In altri termini, l’indice di disagio comunale, che in piena discrezionalità è stato acquisito ai fini della valutazione di priorità, avrebbe dovuto e potuto probabilmente risultare importante, ma non decisivo.

    E’ certamente vero che dell’indice di disagio socioeconomico della Zona Franca Urbana proposta, secondo quanto indicato dal Cipe e dal Mise-Dps, la Regione deve solo verificare la corretta misurazione, e non attribuire ad esso un punteggio, ma un maggiore peso del disagio della singola area, non limitandosi quindi alla verifica dei requisiti di ammissibilità, sarebbe stato più coerente, sotto il profilo concettuale e anche giuridico, col dettato normativo e con le finalità della misura.

    Poiché peraltro la Relazione Tecnica non riporta l’indice di disagio socioeconomico delle Zone Franche Urbane proposte dai Comuni calabresi, attestando solo la correttezza del procedimento, né sarebbe utile, allo stato attuale, improvvisare nuovi metodi, è difficile ipotizzare diverse modalità di calcolo e, quindi, diverse graduatorie.

    Forse si riscontrerebbe ben poco di diverso, atteso che le aree proposte, già per il solo fatto di essere state ammesse a valutazione, hanno tutte un tasso di disoccupazione più alto della media comunale, e dato che le altre valutazioni effettuate dalla Regione sui contenuti delle relazioni dei Comuni paiono puntuali ed equilibrate.

    O forse qualcosa cambierebbe, soprattutto nelle prime posizioni, in mancanza di un indice comunale così sopravalutato, ma ciò non è in questa sede rilevante e in nulla muta il tenore delle riflessioni tecniche sin qui svolte, che prescindono dal merito della vicenda.

    Rilevante, e difficile, è cercare di anticipare quali potranno essere, se vi saranno, gli effetti della scelta metodologica operata dalla Regione Calabria.

    Molto dipenderà, oltre che dalle decisioni sul numero per Regione e sulla collocazione delle Zone Franche Urbane sul territorio nazionale, da come il Ministero dello Sviluppo Economico interpreterà il suo ruolo, da quanto saranno vincolanti le priorità stabilite dalla Giunta Regionale e, naturalmente, dalla bontà o meno dalle proposte iniziali dei Comuni.

    Ma questa è un’altra storia.

    ( http://roccoiemma.wordpress.com )

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