di Clara Varano – Lacrime di storia nel ricordo di uno dei giorni più rappresentativi dello scorso secolo: 27 gennaio 1945, Auschwitz, simbolo della repressione nazista, luogo di indicibile sofferenza, viene liberata dagli alleati. La Giornata della Memoria nasce per non dimenticare, per dire no al negazionismo. Lo sterminio dei più deboli, “diversi” e dissidenti non è un invenzione, ma è marcata negli occhi di quanti, molto pochi, ancora possono raccontarlo, negli occhi di quanti hanno visto il marchio della sofferenza dietro agli sguardi persi nella follia del ricordo.
In Calabria la Giornata della Memoria è stata celebrata in tutte le prefetture ed a Ferramonti di Tarsia, in provincia di Cosenza, dove esiste la prova tangibile che la nostra regione ha avuto un ruolo attivo nella Grande Guerra: il campo di concentramento di Ferramonti che racconta anche l’altra faccia della medaglia con le sue storie.
Ferramonti di Tarsia
Tante persone hanno varcato il vecchio cancello del campo d’interramento di Ferramonti per celebrare il Giorno della Memoria. Tanti studenti hanno avuto la possibilità di vedere i luoghi di una delle pagine più orrende della storia.
La giornata si è aperta con la deposizione, da parte del sindaco di Tarsia, Roberto Ameruso, di una corona d’alloro al monumento dei deportati. Il prefetto di Cosenza, Gianfranco Tomao, ha consegnato le medaglie d’onore a Rosario Carpino, Michele Santoro e Francesco Tufo.
Il Presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, ha affermato che “bisogna trasmettere alle nuove generazioni i valori della libertà”.
Tomao si è detto contento nel vedere “una grande partecipazione di giovani e di studenti”. L’arcivescovo di Rossano – Cariati, mons. Giuseppe Satriano, ha ricordato l’importanza del Giorno della Memoria
Il ricordo nel capoluogo calabrese
A Catanzaro la cerimonia dedicata alla Giornata della Memoria, è stata occasione per momenti e spunti di riflessione sono stati dati dagli ospiti e dalle loro testimonianze.
“Oggi – ha spiegato il prefetto Luisa Latella – si celebra il settantunesimo anniversario dea liberazione di Auschwitz e questa giornata è fondamentale nella storia della.nostra repubblica perché non si ripetano più gli stessi errori che sono sempre dietro l’amgolo”.
All’incontro era presente anche il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, Diego Bouché che ha sottolineato come “il ruolo della scuola sia findamentale per non dimenticare fino a che punto può arrivare l’aberazione umana, dove l’uomo è riuscito ad arrivare dal punto di vista negativo”.
“Il dovere di informazione – ha detto Umberto Piperno, Rabbino capo della comunità ebraica di Napoli – è fondamentale perché gli ebrei sono i primi ad essere additati come vittime ma qui c’é un tentativo, oggi come ieri, di colpire l’intera civiltà. Bisogna essere vigili, leggere, studiare per evitare che il germe del terrorismo possa viziare la nostra mente”.
Tra gli ospiti c’era la scrittrice e regista Dova Cahan, autrice del libro “Una Askenazita tra Romania ed Eritrea“, dedicato al padre “un sionista – ha raccontato la scrittrice – che credeva in Israele come il futuro del popolo ebraico. La memoria sua, esiliato in Eritrea, come degli altri, serve ai giovani per avere la giusta consapevolezza del passato”.
La storia di Edith
“Non ho vissuto la mia gioventù e le atrocità patite in quegli anni mi hanno segnato per tutta la vita. Le leggi razziali e le persecuzioni mi hanno rubato una parte della vita, quella della spensieratezza, dell’amore, dell’allegria. Sono cose, queste, che dopo più di 75 anni, più di tre generazioni, fanno ancora male”. Edith Fischhof Gilboa, oggi novantaduenne, entrò a Ferramonti nella primavera del 1941, quando aveva 18 anni, e ne uscì un anno dopo, nell’inverno del 1942. Nel campo di internamento, nonostante le difficoltà, la donna trovò l’amore. “Malgrado il mio guardaroba scadente e gli zoccoli ai piedi – racconta la novantaduenne – trovai anche l’amore. Mi innamorai di Wolf, un prigioniero tedesco di 20 anni, studente di filosofia. Non era un fusto, ma si presentava bene. Aveva riccioli neri e un sorriso affascinante. Nel campo non potevamo incontrarci, ma Wolf, dopo alcune ricerche, riuscì a trovare un angolo nascosto dove vederci. Abbracci e baci. Eravamo felici, vivevamo la nostra gioventù”. Il racconto di Edith diventa triste quando ricorda che ad un certo punto “una luce abbagliante, puntata in faccia, interruppe le nostre effusioni. Una guardia ci scovò. Riuscimmo a fuggire e io rientrai nella baracca infelice e triste. L’amore per Wolf continuò, ma solo in forma platonica”. Nella memoria di Edith si alternano ricordi positivi e negativi di Ferramonti di Tarsia “Nel campo – racconta – c’erano bambini che avevano fame e tante mamme che non potevano allattare i loro piccoli. Grande fu la solidarietà di alcune guardie e, soprattutto, della popolazione di Tarsia che più volte venne ai cancelli a portarci alimenti. Anch’io fui aiutata più volte da persone che sapevano benissimo di andare incontro a grossi pericoli, eppure mi aiutarono”. Per Edith Fischhof Gilboa una nuova Shoah non è più possibile. “Allora – dice – nessuno sapeva cosa succedeva non solo nei campi ma anche nelle singole nazioni. Oggi, invece, le notizie viaggiano in tempo reale”