Giornalismo e libertà. È questo il tema della conversazione che si è tenuta ieri sera sul palco della kermesse Tabularasa, tra Pino Maniaci, direttore dell’emittente televisiva Telejato, Michele Albanese, giornalista de Il Quotidiano del Sud, esperto in cronaca giudiziaria, Alessandro Russo, giornalista, autore e conduttore di vari programmi di inchiesta e i due organizzatori del contest. Giusva Branca e Raffaele Mortelliti.
“Mi chiedo spesso se esiste ancora il giornalismo in Italia – ha esordito Albanese – ormai è una professione autoreferenziale: la notizia viene stiracchiata e se ne perde il senso. Dovremmo riscoprirne il significato assumendoci la responsabilità di ciò che scriviamo. Anche il lettore deve incalzare il giornalista e premiare chi garantisce un’informazione corretta”.
Albanese torna sulla sua vicenda professionale che lo ha portato a vivere sotto scorta. “Non è facile. Ti cambia la vita. Di positivo – ha chiosato Albanese – c’è il rapporto umano che si è instaurato con loro, ma il prezzo è la mia libertà. Se lo scopo di chi mi ha minacciato era quello di privarmene, paradossalmente ci sta riuscendo. Per me – ha aggiunto Albanese – è essenziale essere sul luogo della vicenda, non farmela raccontare. Devo approfondire, capire come la comunità avverte determinati eventi. Dopo il famoso inchino della Madonna ad Oppido Mamertina, ad esempio, sono diventato il nemico di tutti i sacerdoti del territorio. Si tratta di cultura. Se la gente non condanna allora può accadere tutto, cadiamo in una normalità agghiacciante”.
La Mafia e Palermo, invece, al centro dei racconti di Pino Maniaci che ha sottolineato come “basterebbe poter fare il proprio mestiere in piena libertà. “Questo, però, non accadrà mai finché gli editori fanno affari con i politici. Oggi Telejato è l’unica televisione che parla di mafia e lo facciamo con irriverenza. Realizziamo inchieste, non copia e incolla. Diamo direttamente le notizie, tanto che ormai i telespettatori le denunce le portano direttamente a noi”.