di Stefano Perri – ”Franco Nisticò si poteva salvare”. Se l’ambulanza attrezzata, che avrebbe dovuto seguire la manifestazione, fosse intervenuta entro i primi dieci minuti dal malore, l’attivista No Ponte, morto sul palco di Cannitello a Villa San Giovanni al termine della manifestazione del 19 dicembre 2009, avrebbe avuto elevate possibilità di sopravvivenza.
E’ quanto si evince dalla perizia di parte firmata dal Professor Peppino Pugliese, dirigente medico e componente dell’equipe dell’unità operativa del reparto di Cardiochirurgia dell’Ospedale Maggiore di Parma, depositata presso il Tribunale di Reggio Calabria, nell’ambito del processo sulla morte di Franco Nisticò. Ad oggi sul banco degli imputati un unico soggetto: il medico del 118 intervenuto quando ormai le possibilità di salvare Franco Nisticò erano ridotte allo zero. La fase dibattimentale del processo dovrebbe concludersi a breve e la sentenza di primo grado potrebbe arrivare nei primi mesi del 2015.
”Le percentuali di successo salgono molto, fino a raggiungere il 70-80% – scrive lo specialista nella perizia depositata – se la rianimazione oltre che pronta (entro 3 minuti) avviene in soggetti con fibrillazione ventricolare da first event per malattia coronarica”.
E’ questo esattamente il caso di Franco Nisticò, deceduto, secondo l’esame autoptico, per un arresto cardiaco conseguenza di un’ischemia miocardica.
Una circostanza per la quale, secondo quanto sostenuto dal Dottor Pugliese, risultano fondamentali non solo le manovre standard di primo soccorso, massaggio cardiaco esterno e ventilazione bocca a bocca, ma anche la tempestività di intervento del trattamento rianimatorio dei sanitari.
Ma se nel caso del primo soccorso le manovre effettuate sono arrivate con la massima tempestività, già sul palco pochi secondi dopo il malore di Franco Nisticò, stando alla perizia di Pugliese, lo stesso non può dirsi per l’intervento dei sanitari.
Secondo la perizia del medico ”determinanti per il trattamento rianimatorio in casi di arresto cardiaco per patologia coronaria risultano due fattori: il posto in cui l’evento avviene e la disponibilità dei mezzi di life support”. Il vero problema, recita la perizia, ”è rappresentato dalla qualità della procedura di rianimazione durante l’arresto cardiaco per ischemia miocardia, sia in termini di prontezza che di disponibilità dei mezzi che hanno delle regole ben precise codificate dalle Linee Guida Internazionali”.
Dunque il problema sta proprio nella prontezza dei mezzi di soccorso a disposizione. Secondo il Professor Pugliese per la salvezza di Franco Nisticò era necessaria ”un’ambulanza di tipo A con mezzi più sofisticati di life support, monitor per registrazione Ecg, ventilatore artificiale e farmaci per rianimazione cardiopolmonare”.
Eppure, recita la perizia, ”il caso di Nisticò era un caso ideale da poter rianimare con successo, perché l’evento era avvenuto sotto gli occhi di migliaia di persone, tra le quali c’erano operatori sanitari competenti ed in un contesto già attrezzato per la gestione delle eventuali emergenze”. Ed ancora ”essendo stato l’evento politico del 19 dicembre 2009 organizzato in modo di avere sul posto un’ambulanza di classe A è chiaro che entro un tempo massimo di 2 minuti questa avrebbe potuto raggiungere sul palco Franco Nisticò ed operare con defibrillazione elettrica”.
Viene fuori dunque l’elemento del tempo, secondo il Professor Pugliese la vera discriminante per la salvezza della vita di Franco Nisticò. ”Il tempo di arresto diviene esso stesso il fattore limitativo principale per il recupero. Ogni minuto di arresto cardiaco, seppur supportato da massaggio cardiaco esterno e ventilazione bocca a bocca, comporta inevitabilmente un decremento delle possibilità delle manovre rianimatorie”.
Dieci minuti per salvarlo
A supporto della sua tesi il Professore riporta nella perizia lo schema di Cummins. Secondo lo studio una prestazione rianimatoria efficace se condotta entro 2 minuti dall’arresto cardiaco comporta una probabilità di recupero completo dell’80%. Se l’ambulanza di classe A si fosse trovata, che secondo le testimonianze dei manifestanti e degli stessi familiari di Franco Nisticò, si trovava nei pressi della stazione ferroviaria di Villa San Giovanni fosse arrivata al palco entro due minuti, Franco NIsticò avrebbe avuto l’80% di possibilità di essere salvato. Una speranza di vita che si riduce, secondo lo schema di Cummins, del 10% per ogni minuto di ritardo nell’intervento rianimatorio. ”E’ fin troppo evidente – conclude la perizia – che nel caso del signor Nisticò è mancata nelle primissime fasi dell’arresto cardiaco, quando maggiormente elevata è la possibilità di ripristino di un ritmo cardiaco normale mediante defibrillazione, la possibilità di operare una rianimazione in linea con i protocolli internazionali. Tutto questo è stato invece fatto dopo oltre mezz’ora, solo all’arrivo in ospedale quando le condizioni di deterioramento metabolico di Franco Nisticò erano così avanzate da non permettere il recupero”.