di Stefano Perri – E’ la notte del 18 agosto 2013. Fa caldo a Rosarno. Il paese è appena uscito dall’euforia del ferragosto. Ma gli emigrati tornati sulla piana per le ferie non sono ancora ripartiti. C’è aria di festa in paese. I ragazzi rientrano tardi dalle spiagge e affollano i bar, corteggiano le signorine, bevono e ridono spensierati. Uno scenario tipico dei piccoli centri calabresi nei giorni di più caldi dell’anno. Paesi che per un paio di settimane riprendono vita proprio grazie al rientro degli emigrati. Tutti si conoscono, tutti si salutano. Strette di mano, per strada, di fronte ai locali. Tutti felici di ritrovarsi, magari dopo un anno di duro lavoro nelle metropoli europee o del nord Italia. Tutti, tranne qualcuno.
Francesco Barone e sua madre Francesca Bellocco sono tornati giù da Padenghe sul Garda, in provincia di Brescia. Solo qualche giorno di vacanza, a cavallo di ferragosto, per riabbracciare amici e parenti a Rosarno. Il padre, Salvatore Barone, quest’anno non ha potuto seguirli. E’ sottoposto al regime di sorveglianza speciale con obbligo di residenza nel piccolo borgo del Bresciano. La loro non è una famiglia come tutte le altre. Sulle spalle un’eredità criminale pesante. Francesco, appena 22enne, è un giovane rampollo della cosca dei Bellocco. Il padre, Salvatore, ha già alle spalle diversi precedenti. E verrà arrestato un anno più tardi nell’operazione Sant’Anna della Dda di Reggio Calabria.
Il giovane Francesco Barone decide di rientrare prima quella sera. Lascia i suoi amici e torna a casa. Ha un presentimento in testa. In paese si vocifera che sua madre abbia una relazione con Domenico Cacciola, un altro affiliato alla ‘ndrangheta di Rosarno. Le malelingue affermano che i due, come recita una colorita espressione usata sulla Piana, ”si curcano” insieme.
Entrato in casa il ragazzo ne ha la conferma: scopre la madre con Domenico Cacciola. E’ la goccia che fa traboccare il vaso. L’uomo riesce ad allontanarsi. La donna, dopo una lite col figlio, chiama al telefono il marito rimasto in Lombardia. ”Ho sbagliato” riesce a dirgli solamente, prima che il cellulare le sia strappato dalle mani dal figlio. Dopo un po’ il marito richiama: ”Che è successo?”. ”Niente, la mamma si sente poco bene” risponde Francesco. Passano dei minuti e l’amante, Domenico Cacciola, prova a contattare la donna. Ma il telefono squilla a vuoto. La condanna a morte di Francesca Bellocco è segnata. Il figlio ha deciso, forse da solo, forse parlando con qualche parente, che quello sgarro va lavato con il sangue. L’arcaico codice della ‘ndrangheta non prevede scusanti in questo caso. Il tradimento di una donna non si perdona.
Passano poche ore. E’ già l’alba. Intorno alle sette e un quarto, un commando di tre uomini armati di pistola e con il volto coperto da passamontagna entra nella casa dei Barone-Bellocco. Dall’interno si sentono le urla della donna: ”perdunatemi”. Poi il silenzio. A raccontare la scena è il vicino di casa, il vigile urbano che con la sua testimonianza ha consentito agli investigatori di chiudere il cerchio su Francesco Barone, arrestato oggi con l’accusa di aver ucciso la madre Francesca Bellocco.
Passano ancora pochi minuti e il giovane boss esce di casa per rientrare in garage con la sua auto. Secondo la ricostruzione degli inquirenti è li, probabilmente nel bagagliaio o sul sedile posteriore, che viene caricato il corpo della madre. Subito dopo Barone esce nuovamente a bordo dell’auto. Sul sedile del passeggero è seduto uno dei tre uomini entrati in casa a volto coperto. Gli altri due li scortano sulla seconda autovettura. Da quel momento non si hanno più notizie di Francesca Bellocco, né si saprà più nulla dell’amante Domenico Cacciola, anch’egli ”scomparso” da Rosarno nelle stesse ore, anche se i parenti non hanno mai presentato alcuna denuncia di scomparsa.
Passano tre giorni e il giovane Francesco Barone lascia Rosarno e torna dal padre a Pedenghe sul Garda. E’ il 21 agosto 2013. Alle otto di sera i due si recano in caserma per denunciare la scomparsa della donna. ”Allontanamento volontario” dicono ai carabinieri. Una versione che non convince affatto. Scattano le indagini, che vengono affidate alla Dda di Reggio Calabria. Passano mesi, ma il lavoro degli inquirenti è prezioso. Confrontano celle e tabulati telefonici, incrociano dati, interrogano. E finalmente riescono a ricostruire i tragici fatti di quella notte. Poi la testimonianza del vicino di casa, che chiude il cerchio. Gli inquirenti non hanno dubbi: ad uccidere Francesca Bellocco è stato il figlio ventiduenne Francesco Barone.
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