Riceviamo e pubblichiamo –
Mio padre mi raccomandava di studiare di più. Quando era in vena di bontà, mi accarezzava
e mi diceva: “Studia almeno la storia”. E andando avanti nella vita, mi ritrovavo a fare i
conti con la convinzione, che si radicava sempre più, che nulla fosse capace di darti veri
insegnamenti come la storia. A un certo punto, mi resi conto di poter distinguere coloro che
la conoscevano, dagli altri. Sensibilità, consapevolezza, discernimento rappresentavano
indicatori infallibili.
“Quale storia?!”, incalzavo mio padre, quando ero infastidito dalla sua insistenza. Lui
rispondeva, facendo finta di non accorgersi della provocazione, “tutta la storia, soprattutto
quella tua, della tua gente, della tua terra, per capire da dove vieni”. E smorzava il mio
impeto. E mi ritrovavo la sera, con la poltrona e il lume, a leggere come un romanzo il libro
rosso di Villari, il mio libro scolastico di storia. E sapevo, pur non vedendolo, che lui era lì e
mi osservava contento.
Oggi mi piace pure raccontarle, le storie. Quelle che sembrano piccole, per far comprendere
come invece siano “grandi”. Raccontandole, imparo di più. E spero di trasmettere questa
voglia ai miei figli.
Vi lascio immaginare il dolore, quando incontro un ignaro. Non so affrontarlo, confesso.
E, quando posso, mi rifugio in una telefonata terapeutica a quel mio caro amico che vive
lontano da qui. È un monaco trappista, dedito con i suoi confratelli nel convento alla
produzione della birra, da sempre. Del resto, chi non sa che proprio con i benedettini, per
esigenze di vita, inizia la storia della birra e che ancora oggi la qualità migliore è nei
conventi di tutta Europa.
I cistercensi della stretta osservanza, o trappisti, sono un ordine monastico di diritto
pontificio, da cui deriva il nome della famosa tipologia di birra. Oggi, le più note birre
trappiste e delle abbazie europee sono quelle prodotte dai monaci olandesi e belgi, ma una
tradizione secolare vantano anche i monaci in Italia.
Quando vado dal mio amico, prima di ogni cosa, nel chiostro mi offre la birra che piace a
me, ambrata, con sentori di frutta balsamica. La sorseggio mentre lui mi racconta sempre la
stessa storia, ma sempre diversa, del lavoro instancabile che hanno fatto per produrla, e di
come senta spiritualmente di appartenere a un percorso di storia.
Al telefono, questa volta, lo rendo partecipe della prossima nascita di un piccolo birrificio
artigianale in un luogo sacro della Locride. Mi pare di vedere i suoi occhi vivaci, mentre
esprime il suo apprezzamento.
“Chi è l’autore?”, mi chiede. Proprio il Santuario di Santa Maria di Polsi. “Che meraviglia!
Sai che l’arte brassicola viene dai monaci, il connubio con la chiesa è fortissimo”.
Lo so. Non a caso il patrono dei birrai è il vescovo e abate benedettino Sant’Arnolfo di
Soisson, vissuto nell’XI secolo.
“Bravo! E saprai pure che fu lui a rendersi conto che il processo di birrificazione restituiva
una bevanda priva di batteri e impurità e così salvò la sua gente dalla peste”.
Certo. E conosco le tante abbazie che ancora oggi producono le migliori birre artigianali.
Anche il legame con il mondo del sociale è fortissimo. Ti ho raccontato del piccolo
birrificio, a Catanzaro, gestito da persone down?
“Che belle storie! Ti offrirei una birra fresca, sotto l’olmo del nostro giardino…”.
Mi piacerebbe. Forse, la prossima che godremo insieme sarà tra le montagne di Polsi.
di Guido Mignolli (Direttore Gal Terre Locridee)