di Anna Foti – L’incanto grecanico di Bova si coniuga armoniosamente con la poesia musicata e intrecciata di richiami antichi di Angelo Branduardi. Sulle note del musicista che poco ha scritto di amore, pur avendolo cantato in tutte le sue forme più alte, si chiude la stagione del Paleariza, dedicata alla riscoperta della grecità
di cui sono intrisi l’entroterra ionico della nostra provincia, i canti e le tradizioni popolari. Cantautore e violinista formatosi nella scuola genovese, Angelo Branduardi è da sempre affascinato dalla musica d’oltremanica. Incline a contaminazioni cinematografiche, su ispirazione della compagna Luisa Zappa, e a suggestioni della musica etnica internazionale, degli Indiani d’America e di poeti latini, egli ha inebriato la folta platea raccoltasi laddove si domina il mar Ionio e la terra ancora conserva profumi incontaminati. Spazio e risonanza al suo ampio repertorio e ad assoli in violino di indescrivibile intensità, come quello che ha preceduto l’attacco della sua canzone più famosa, quella più attesa “Alla Fiera dell’Est” , insignita nel 1976 del premio della Critica discografica Italiana. Musicista puro, Branduardi. Di quelli che sul palco sono loro stessi strumento per i loro strumenti. Come accade per quello che gli antichi definivano lo strumento del diavolo, il violino che pare suoni il musicista che ne lambisce le corde e non il contrario. Così dal palco ha raccontato.”Il violino diventa una raccolta di storie di quanti lo hanno suonato prima e di quanti lo suoneranno dopo”. Grande accoglienza per le note di “Confessioni di un malandrino” e altamente poetica l’interpretazione de “La Lauda di Francesco” , famosa anche all’estero e che Branduardi compose nel 2000 in occasione del Giubileo quando dedicò un intero album “Infinitamente piccolo” alla vita di San Francesco D’Assisi. Poi l’arpeggio con la chitarra e quelli che lui ha definito “equivoci armonici in cui l’intento non è tessere melodie ma decostruirle per dire tanto ma con meno”. Un modo particolarmente difficile di comporre e un modo particolarmente inconsueto di ascoltare. E proprio quando si ricerca l’essenza e si assottiglia tutto il resto che l’Amore è palpabile. Chiude il concerto con un ode alla Luna preceduta da quei “giorni assaporati come arance rosse”. Quei giorni cantati in una delle pochissime canzoni di amore del suo repertorio “Tango”. Poi rimane da chiedersi se ci sia emozione più viva del sentire che chi ha regalato frammenti di immensità e intensità fino ad un attimo prima, desideri “alla fine del viaggio” salutare il suo pubblico “senza retorica” definendolo bello come la serata condivisa al chiaro di luna.