COSENZA – «Un romanzo potente, raro, in grado di lasciare un segno in tutti coloro che lo leggono». La direttrice del Premio Sila Gemma Cestari introduce con queste parole “Dove non mi hai portata” (Einaudi), il libro di Maria Grazia Calandrone finalista della decina 2023. «Un romanzo – continua Cestari – tramite cui l’autrice cerca di capire chi fossero i suoi genitori e, dunque, se stessa».
“Dove non mi hai portata” è, per l’appunto, la storia di Lucia e Giuseppe che, nel 1965, arrivano a Roma con la figlia di otto mesi. Lucia è fuggita da un marito violento che era stata costretta a sposare e che la umiliava ogni giorno, e ha tentato di costruirsi una nuova vita proprio insieme a Giuseppe. Per la legge dell’epoca, però, la donna si è macchiata di gravi reati: relazione adulterina e abbandono del tetto coniugale. Prima di scivolare nelle acque del Tevere in circostanze misteriose, la coppia lascia la bambina su un prato di Villa Borghese, confidando nel fatto che qualcuno si prenderà cura di lei.
Quella bambina, ormai adulta, è Maria Grazia Calandrone che, a Cosenza, negli spazi della libreria Ubik, dialogando con Giuliana Scura e Marcello Furriolo, racconta la sua opera e risponde alle domande dei lettori.
«Ho deciso di scrivere questo libro – spiega l’autrice – quando ho capito che la storia di Lucia, contadina molisana vessata e umiliata, fosse una storia che potesse riguardare tutti. Una storia con dentro la Storia».
E, infatti, «dentro alle pagine del romanzo – chiosa Furriolo – c’è lo spaccato di una società piena di contraddizioni, quella del post boom economico, dove la realtà va avanti mentre la legge rimane indietro e lo dimostra Lucia in tutto il suo proto-femminismo».
«È una storia di dolore – continua Maria Grazia Calandrone – ma che racconta un atto di amore straordinario. Tramite la sua scelta mia madre non mi ha portata nella morte. Non dico che per me sia stato facile crescere con questo “peso” – prosegue -, ma quello che mi è accaduto mi ha portato a riempiere i vuoti della vita con le persone, non per divorarle ma per sentirle vicine».
Come una vera e propria detective l’autrice va, dunque, sulle tracce dei suoi genitori, in particolare della madre, visitando i luoghi in cui ha vissuto, in cui è nata. «Cosa è successo quando sei arrivata nel paese di tua madre?», domanda in ultimo Scura.
«A Palata (in provincia di Campobasso, ndr), quando sono tornata – risponde l’autrice -, ho trovato diversi sentimenti. Imbarazzo, senso di colpa, giudizio su mia madre e su di me, che ho tirato fuori questo fantasma. Il paese è questa storia. Molti però – conclude – Lucia la ricordano con grande amore».