Chiesto mezzo secolo di carcere per gli imputati dell’inchiesta “Cavallo di ritorno”. Ieri, in sede di requisitoria, il pm reggino Giovanni Calamita ha chiesto al gup Barbara Bennato condanne che oscillano dai 6 anni ai 2 anni e 2 mesi di carcere per le persone accusate, a vario titolo, di aver fatto parte di un’organizzazione dedita al furto di autovetture seguito questo, dalla pretesa di una somma per la restituzione. Nel dettaglio l’accusa ha invocato 6 anni di carcere per Cosimo Berlingeri, classe 1984, Gianluca Berlingeri, classe 1985, Andrea Bevilacqua, classe 1989, Patrizio Bevilacqua, classe 1986, Francesco Morelli, classe 1963, Vittorio Morelli, classe 1989. Cinque anni e 4 mesi di reclusione sono stati invocati dal pm Calamita per Domenico Berlingeri, classe 1979, Alessandro Bevilacqua, classe 1983, e Antonio Bevilacqua, classe 1989. Due anni e 3 mesi di carcere sono stati chiesti infine, per Carlo Morello, classe 1987, mentre ammonta a 2 anni e 2 mesi la richiesta invocata per Massimo Bevilacqua, classe 1983. Il blitz della Squadra Mobile della Questura reggina scattò nel maggio dello scorso anno. Secondo gli inquirenti il gruppo criminale, con base nel quartiere Ciccarello alla periferia Sud reggina, storico luogo dove dimorano gli appartenenti alla comunità rom, avrebbe attuato la solita modalità per delinquere. In alcune occasione infatti dopo aver rubato le automobili, e così identificato i proprietari attraverso i documenti del veicolo, li contattavano usando sempre le stesse due cabine telefoniche. Chi voleva riavere indietro la propria auto doveva pagare. Il telefonista quindi dava appuntamento alla vittima proprio a Ciccarello per la consegna del denaro e la restituzione dell’auto. «Solo in un caso le vittime hanno denunciato», dirà in conferenza stampa il procuratore reggino Cafiero De Raho. Un imputato, Paolo Giustra, classe 1962,( che ha però scelto di farsi giudicare in ordinario ndr), è accusato infatti di favoreggiamento personale poiché quando sentito a sommarie informazioni dalla Mobile avrebbe negato di essere a conoscenza del furto dell’autovettura, intestata alla moglie, negando anche di aver mai ricevuto telefonate anonime in cui si paventava la sua restituzione. Un’intercettazione però dimostrerebbe come avesse intrattenuto una conversazione con un soggetto che gli comunicava il furto della sua automobile. Sentito dai poliziotti non solo dirà di non aver mai intrattenuto telefonate con esponenti della comunità rom bensì sosterrà anche che la sua automobile non è mai stata rubata.
Angela PanZera