Il pregiudizio condiziona le nostre vite. Si è parlato di questo all’ultima serata di Tabularasa 2015 con Emilia Costa, Professoressa di Psichiatria presso l’Università di Roma La Sapienza, Antonio Monorchio, Docente di Psicologia Sociale presso l’Univesità per Stranieri di Reggio Calabria, e Pasquale Romeo, Docente di Psichiatria presso l’Università di Bari.
Confrontandosi con Giusva Branca e Raffaele Mortelliti, ma soprattutto tra loro, i tre medici hanno chiarito al pubblico, molti dei concetti psichiatrici legati al pregiudizio e non solo.

“Possiamo vivere senza pregiudizi? – si è chiesto Pasquale Romeo – Tutti ne abbiamo, è una struttura ormai imperante. Il sacrificio del dopoguerra aveva generato nel nostro Paese la capacità di giudizio, di chiedersi dove ci stesse portando quella sofferenza – ha chiosato Romeo –, oggi ci lamentiamo molto, ma non riusciamo a spiegare cosa realmente ci fa provare dolore. Quanti di noi riescono a resistere ad un trauma? Sfugge la differenza col semplice stress”.
Secondo Romeo è la mancanza del sogno a fare la differenza. Non sogniamo più, addirittura l’immaginazione è venuta a mancare. “Per immaginare – ha spiegato lo psichiatra – c’è bisogno di qualcosa che manca. È lo scarto tra io e l’ideale dell’io. Dovremmo emanciparci dall’idea pregiudizievole per cui niente ha un valore e che ci porta ad un nuovo oscurantismo”.
“La pazienza è figlia della sofferenza – ha detto Antonio Monorchio – consente di coltivare la capacità di aspettare finché non passa, quindi di amare. Deriva dal latino ‘patior’ che significa ‘patire’”.

Il rapporto con l’amore si fonda su questo. La globalizzazione ha creato situazioni di isolamento affettivo in cui è sempre più difficile “aprirsi a rapporti nuovi che – secondo il professore – consentono di liberarci dai pregiudizi, bagaglio dell’uomo comune. Le persone più differenziate, gli artisti, sono liberi da preconcetti. Per essere creativi è necessario, quindi, costituirsi nei rapporti con la vita e con se stessi in una dimensione nostra e degli altri. È il comunicare”.
Secondo Monorchio “la società ci chiede di formare dei pregiudizi e quindi di instupidirci. Gli artisti sono geni, ma spesso vengono percepiti come folli proprio per la loro capacità di aprirsi agli altri senza preconcetti. La loro intelligenza non è pratica. Però, ciò che ci rende umanamente uomini è proprio l’aprirsi alla conoscenza e agli altri in modo da generare rapporti di rispetto”.

Per Emilia Costa è difficile liberarsi dai pregiudizi “Persino in dibattiti come questo ce ne sono – ha detto provocatoriamente –. Noi qui sul palco sotto i riflettori e il pubblico nell’ombra”. Il pregiudizio, pertanto, è qualcosa che incameriamo fin da piccoli con l’educazione dei genitori e della scuola. I più rilevanti sono quelli culturali, per vincere i quali è necessaria la capacità di giudizio e di critica che il Potere vuole anestetizzare.
“La vita è il presente – ha concluso la professoressa Costa – ma nessuno vive così”.