Signor Presidente del Consiglio,
le scrivo perché sento di poter ancora esercitare diritto di replica alla campagna mediatica che lei sta mettendo in campo, senza però dare alla controparte l’opportunità di esprimere le proprie ragioni, come sarebbe normale in un normale confronto democratico.
Vorrei mettere a fuoco alcuni punti del suo disegno di legge (l’aggettivo possessivo non è casuale) e le scrivo non solo a mio nome, ma anche a nome delle centinaia di migliaia di colleghi e colleghe che da diverse settimane ormai stanno dicendo a voce alta e chiara, anche se sempre nei limiti della correttezza e della dignità che ancora ci appartiene, che questa riforma contiene aspetti che, se dovessero diventare realtà, farebbero fare un notevole passo indietro alla scuola italiana.
1. Vede, Presidente, lasciare che siano i dirigenti scolastici ad individuare il personale docente svilisce la scuola e la professione docente. Infatti, la scuola diverrebbe teatro di facili clientelismi di varia natura e pericolosità; per essere più esplicita, chi vuole lavorare, basta che telefoni alla giusta personalità politica o mafiosa – o entrambe – per ottenere il “favore” di lavorare. È chiaro che tale favore andrà poi ricambiato, magari nel segreto dell’urna.
500.000 persone – l’80% dei lavoratori della scuola – hanno gridato il loro “no” a questo meccanismo: la politica non deve esporre la scuola al pericolo dei favoritismi o del clientelismo di varia origine. Non possiamo non opporci a questo disegno, signor Presidente, perché ne va del futuro non solo nostro, ma dei nostri figli e degli italiani di domani.
Adesso capirà perché “ci lamentiamo tanto e addirittura protestiamo” (così lei va dicendo nei talk show che la ospitano), nonostante che lei nel suo ddl preveda fondi e stanziamenti per la scuola. La libertà di insegnamento è un principio irrinunciabile per i docenti italiani (da Milano a Palermo, passando per Scampia) e non è in vendita. Vogliamo sperare che lei non appartenga ad un mondo in cui tutto ha un prezzo;, ma nel nostro mondo certo non è così. Sia chiaro: non navighiamo nell’oro, ma ci resta la dignità di una professione che ci fa camminare a testa alta, ci fa sentire orgogliosi di un’appartenenza culturale. Questo orgoglio e la consapevolezza di svolgere una professione di grande importanza a livello educativo, storico e sociale ci faranno andare avanti con crescente e sempre più forte impegno e coesione. Stia certo che la meritocrazia sta a cuore a noi più che a lei, caro Presidente, ma ci consenta di esprimere i nostri dubbi sulla circostanza che la commissione cultura della Camera, presieduta da Giancarlo Galan (ancora agli arresti domiciliari per ipotesi di corruzione), o che lo stesso sottosegretario Faraone, mai laureatosi, abbiano scritto o esaminato queste parti del testo di legge spinti da amore per il merito e per il sapere.
2. In un normale confronto democratico, non è pensabile che si dia “delega al Governo in materia di Sistema Nazionale di Istruzione e Formazione” (art. 21). Il rischio è che le normative fondamentali che regolamenteranno di fatto l’assetto contrattuale del personale docente e non docente della scuola verrà normato da decreti legge e non sarà discusso in Parlamento. Bella democrazia!
3. Veniamo all’assunzione dei precari: non si tratta di una benevola elargizione del suo governo; piuttosto, se l‘Italia non provvederà a risanare la vergogna del precariato, subirà le sanzioni pecuniarie da parte del Tribunale di Giustizia Europea e, come conseguenza, sarà sommersa dalle sentenze di condanna dei Tribunali amministrativi italiani.
Mi fermo qui, signor Presidente, ho voluto solo sinteticamente sottolineare i punti più critici e criticabili della sua riforma, che potrà sicuramente approfondire, se ne avrà il tempo e la voglia, nelle riviste specializzate.
Sento, però, di dirle un’ultima cosa: nessuno, neppure lei, conosce il lavoro che svolgiamo quotidianamente non dalla cattedra, ma tra i banchi, guardando i nostri alunni negli occhi, uno ad uno, ed aiutandoli a crescere, ad imparare l’italiano che per molti è una seconda lingua, insegnando loro ad avere fiducia e stima nelle proprie capacità e potenzialità. Perciò, Presidente, non dica che non facciamo gli interessi dei ragazzi, non solo è una dichiarazione falsa e superficiale, ma è strumentale ai fini dell’accrescimento del mero consenso popolare che temiamo le stia particolarmente a cuore. E noi non siamo disposti a farci strumentalizzare.
Rachele Via, a nome del Comitato La Vera Scuola e del Comitato Precari Scuola Provincia di Crotone