Qualche anno fa la televisione nazionale belga diede l’annuncio sconvolgente che le Fiandre avevano, unilateralmente, proclamato l’indipendenza dal Belgio, sancendo di fatto la rottura dell’unità del paese. Il programma presentava flash di agenzie, dichiarazioni politiche, dava notizie di disordini, in maniera così verisimile, da creare il panico nel paese. Modello di riferimento per i giornalisti è stata certamente la celebre trasmissione radio che il 30 ottobre del 1938 gettò gli Stati Uniti nel panico. Il 70° anniversario di tale trasmissione ha fornito l’occasione alla Sezione Giovanile dell’Associazione Culturale Anassilaos per interrogarsi, nel corso di un incontro, sul ruolo dei mass media e sulla loro capacità di influenzare i cittadini, accendere le loro paure, determinare le loro scelte. Nell’ottobre 1938 – ha ricordato Tito Tropea, Presidente dell’Anassilaos Giovani – un ancor giovane Orson Welles propose e interpretò, all’interno della trasmissione radiofonica, Mercury Theatre on the Air, un adattamento del romanzo di fantascienza La guerra dei mondi di Wells pubblicato a Londra nel 1897 nel quale i Marziani invadono la terra atterrando vicino a Londra su navicelle cilindriche. Ogni resistenza da parte degli umani è vana. Essi vengono ridotti in stato di schiavitù e considerati come cibo. Soltanto le malattie terrestri, cui gli extraterrestri non sono immuni, riescono a sterminare gli invasori. Il futuro regista, interpretando la vicenda immaginata dallo scrittore inglese come una reale radiocronaca in diretta, realizzò una sorta di notiziario speciale che, come avviene nella realtà per gravi eventi di cronaca, si inseriva sopra gli altri programmi del palinsesto fornendo di volta in volta aggiornamenti sull’atterraggio delle astronavi marziane a Grovers Mill, nel New Jersey. La trasmissione fu condotta con tale realismo da scatenare il panico. Molti ascoltatori credettero infatti che una flotta di astronavi marziane fosse realmente sbarcata sulla terra. Orson Welles non si proponeva di fare uno scherzo – come nella recente trasmissione belga – e fu stupito dalla reazione del pubblico anche se – ricordano i suoi collaboratori – al direttore generale della CBS che gli ordinava di interrompere la trasmissione pare avesse risposto “Interrompere? Perché? Devono avere paura, mi lasci continuare!” Disse più tardi “avevamo sottostimato l’estensione della vena di follia della nostra America”. La reazione del pubblico americano per un evento improbabile come l’invasione dei marziani – anche se gli Stati Uniti sono il paese più interessato al mondo da avvistamenti di dischi volanti e presunti incontri ravvicinati con extraterrestri – la dice lunga – rileva Tropea – sul senso di ansia e paura della gente in determinati periodi storici (siamo nel 1938, un anno cruciale per la pace nel mondo). Immaginiamo invece quanto grande possa essere la paura dinanzi ad eventi abbastanza probabili come la separazione del Belgio, un paese che registra forti e quasi insanabili contrasti tra le due etnie (fiamminga e vallone) e quanto ancora più grande sia l’angoscia davanti a fatti, purtroppo reali, che toccano da vicino la vita del cittadino. Qui più che mai appare il ruolo dei mass media e la loro responsabilità nel porgere la notizia. La paura e l’insicurezza sono elementi che caratterizzano ormai tutte le mature società industriali che presentano notevoli squilibri sociali, oggi alimentate dalla crisi in corso. Il fenomeno della emigrazione ha accentuato questi squilibri avendo messo a contatto, in un brevissimo volgere di anni, culture, tradizioni e abitudini diversissime. Se gli Americani negli anni Trenta si spaventarono per lo sbarco dei marziani (gli altri da sé , i diversi per eccellenza) non è difficile immaginare la nostra paura per gli sbarchi, reali, di clandestini e per la presenza nelle nostre città di popoli e razze diversi. Non sappiamo – chiarisce Tropea – se Orson Welles deliberatamente si propose di terrorizzare gli americani –infatti colpito dalle roventi polemiche del giorno dopo negò di averlo voluto fare – ma è indubbio che egli confezionò una trasmissione che doveva suscitare spavento, dimostrando che per conseguire tale risultato bastava veramente molto poco. Ai nostri giorni poi è sufficiente aprire i notiziari con questo o quel fatto di violenza, veri ma esageratamente amplificati, e insistere su quegli stessi fatti ogni giorno per dare ai telespettatori (che sono la maggioranza del pubblico) o ai lettori dei giornali (che sono la minoranza) l’idea che il proprio sia divenuto un paese di stupratori, di pedofili, di razzisti, di delinquenti, di ragazzi dalla droga e dall’alcool facile, di pazzi ebbri scatenati al volante, di emigranti assassini. Le statistiche, quelle ufficiali, magari dicono il contrario ma il senso comune e la percezione del pericolo non possono essere modificati da un freddo elenco di cifre. Se la gente, appena settanta anni fa, in un civile e progredito paese, si è impaurita per lo sbarco degli extraterrestri – conclude Tropea – perché non dovrebbe, a maggior ragione, oggi spaventarsi per la sequela di eventi criminosi ampiamente evidenziati da politici e mezzi di informazione? La radio cronaca di Orson Welles dimostra come sia semplice, ai nostri giorni, con i raffinati e complessi strumenti di comunicazione di massa di cui disponiamo, intercettare e determinare i sentimenti delle persone con il rischio di risvegliare i mostri sopiti dentro di noi (il razzismo fra tutti) poiché, prendendo a prestito il titolo di un’opera di Goya, il sonno della ragione non può che generare mostri.
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