Sono Paolo Antonio Bruno, magistrato in pensione (già Titolare della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione), in atto Presidente di sezione della Corte di Giustizia Tributaria di Roma.
Ma ciò che più conta in questa sede è che sono tifoso della Reggina da oltre cinquant’anni e come tutti i tifosi reggini ho seguito con grande apprensione e non senza vivo disappunto gli sviluppi di una vicenda che mi sembra surreale e profondamente ingiusta.
Ritengo pertanto non inopportuno offrire modesti spunti di riflessione in merito, scusandomi preventivamente per possibili inesattezze tecniche, non essendo esperto di settore ma essendo mosso solo da linee di pensiero giuridico, maturate in quarantasei anni di esperienza professionale.
Peraltro scrivo di getto da un luogo di residenza estiva e non dispongo degli ordinari strumenti di consultazione ed approfondimento.
1. Ho letto e riletto le motivazioni del TAR e sono rimasto molto sorpreso per l’esasperato ed ottuso formalismo che le caratterizza, tanto da richiamare alla memoria l’antico broccardo: summum ius summa iniura, nel senso che l’applicazione acritica ed indiscriminata del diritto può essere causa di ingiustizia, non consentendo di cogliere le esigenze di giustizia sostanziale alle quali nessun giudice, a mio parere, può e deve restare indifferente.
Del resto, non ho mai riposto grande fiducia nel TAR romano, che, per mia personale esperienza, troppo spesso é apparso allineato su posizioni filogovernative o non insensibile ad istanze dei poteri forti.
A parer mio, maggiore affidamento merita il Consiglio di Stato sul versante della legittimità e dell’indipendenza di giudizio.
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Orbene, l’impianto motivazionale della pronuncia del TAR si incentra su un argomento ritenuto decisivo, ossia la perentorietà degli adempimenti federali.
Ma l’assunto mi sembra mal posto e fuorviante ed anzi assai poco pertinente alla fattispecie oggetto di giudizio. E ciò per un duplice ordine di rilievi.
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In primo luogo, il giudice amministrativo – come ogni buon interprete -avrebbe dovuto porsi il quesito di quale fosse la c.d. ratio legis ossia le ragioni della normativa federale in tema di perentorietà.
Non gli sarebbe così sfuggito che la ragione giustificativa di perentorie scadenze é quella di predisporre uno sbarramento temporale entro il quale le società calcistiche interessate alla partecipazione ai campionati nazionali sono tenute a corredare le loro domande di iscrizione dei documenti richiesti e di quant’altro necessario a comprovare le garanzie di equilibrio economico-finanziario e di solvibilità perché sia assicurata l’equa competizione, sportiva, anche nella forma dell’assolvimento dei debiti tributari e di altra natura.
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Il TAR non si è neppure posto l’ulteriore, ma connesso, profilo riguardante la natura giuridica dell’omologa del nuovo istituto della ristrutturazione del debito per le aziende in crisi, previsto da una recente legge dello Stato.
Se l’avesse fatto non gli sarebbe sfuggito che si tratta di rilevante suggello di un programma di risanamento, previa verifica della sua adeguatezza, congruità e fattibilità. Verifica, questa, alla quale il Tribunale di Reggio Calabria ha lodevolmente adempiuto nelle 35 pagine di motivazione.
Ed allora, l’effetto del piano di risanamento, avallato da un provvedimento giurisdizionale, non può che avere carattere di novazione, nel senso che alla pregressa situazione giuridica se ne sovrappone altra, avente minore entità ed oggetto di nuova obbligazione, in chiave evidentemente transattiva.
Non vi è dubbio, quindi, che la precedente esposizione debitoria, nei termini originari, deve intendersi ormai estinta, con la nascita, al suo posto, di un nuovo debito, rappresentato dall’importo residuo previsto dallo stesso piano di ristrutturazione.
Il che significa che la perentorietà era ampiamente rispettata dalla disponibilità di un provvedimento di omologa anteriore al 20 giugno 2023, non riuscendo ad intendersi quale garanzia di sostenibilità possa essere maggiore di quella offerta da una pronuncia emessa in nome del Popolo Italiano.
Si dirà – e questo è stato detto dal TAR – che anche il minore importo avrebbe dovuto essere pagato entro il termine perentorio del 20 giugno, sussistendo all’uopo sufficienti margini temporali.
Ma questo è errato ed abnorme. Intanto, perché l’omologa assegnava un termine di pagamento maggiore, sino al 12 luglio.
Né si dica – come sostenuto dal TAR – che il nuovo termine assolveva a diversa finalità, proprio perché una tale finalità era estranea alla logica del giudizio degli organi federali, che, per quanto sopra, doveva arrestarsi alla verifica anzidetta, accontentandosi della presa d’atto della garanzia offerta da un provvedimento giurisdizionale, anteriore alla scadenza del 20 giugno.
La previsione di un più ampio termine era ultronea a quell’ordine di valutazione, operando l’eventuale inadempimento come una sorta di condizione risolutiva, nel senso che il mancato pagamento del debito residuo avrebbe comportato la risoluzione del piano di ristrutturazione con effetto ex tunc, ossia retroattivamente.
Ma ciò non poteva né doveva interessare gli organi federali. Innanzitutto perché era remota ed anzi irrealistica l’ipotesi che una società che avesse conseguito il non agevole obiettivo dell’omologa della ristrutturazione, non effettuasse poi il pagamento della minor somma nel termine prescritto, esponendosi così alla caducazione dell’accordo transattivo, che avrebbe comportato il sicuro fallimento, ossia quell’evento disastroso e devastante che la predisposizione di un piano di risanamento aveva inteso scongiurare.
In secondo luogo – e con apprezzamento ex post – il pagamento residuo era stato comunque effettuato tempestivamente, ben prima del termine assegnato dal Tribunale, ossia il 5 luglio, persino anteriormente alla pronuncia degli organi di giustizia sportiva. A parte poi la considerazione, sin troppo ovvia, che la FIGC non é certo un agente delle entrate né un agente della riscossione.
A tutto concedere nella fattispecie avrebbe potuto ravvisarsi un tardivo pagamento, rispetto alla scadenza del 20 giugno, ampiamente giustificato, però, da legittimo impedimento (come nel caso del Lecco), rappresentato dalla facoltà, conferita da un provvedimento giurisdizionale, di beneficiare di un più ampio termine in rapporto ad asserite, ma plausibili, esigenze organizzative che non avrebbero consentito un più sollecito adempimento.
3. Un altro vizio di legittimità della sentenza del TAR risiede, a mio avviso, nel mancato rilievo della disparità di trattamento in cui era incorsa la Federazione nel rigettare la richiesta di ammissione della Reggina alla serie cadetta, rispetto al trattamento riservato ad altre società.
Ed infatti, alcune società, regolarmente ammesse ai campionati di pertinenza, anche della massima serie (come, nel recente passato, la Lazio) ed a quanto pare la Sampdoria in B, hanno ottenuto dai competenti organi dell’Amministrazione finanziaria la rateizzazione di ingenti debiti tributari, di gran lunga superiori a quelli della Reggina. Dunque le stesse versavano in situazione sostanzialmente identica: alla data del 20 giugno solo una parte del loro debito risultava pagata (le rate antecedenti), ma non già quelle successive.
Ed allora c’è da chiedersi se l’avallo di un’autorità amministrativa (che accordi la dilazione) possa mai avere una valenza superiore alla garanzia offerta da una sentenza del Giudice ordinario.
4.Al di là di ogni considerazione d’ordine tecnico-giuridico, resta la sgradevole sensazione di un’immane ingiustizia.
Non sembra, infatti, possibile che un’interpretazione comunque opinabile – e secondo me errata – possa comportare lo spropositato epilogo della cancellazione dal panorama calcistico nazionale di una gloriosa società e la mortificazione di un’intera cittadinanza e del suo territorio, che di certo non meritano tutto questo.
Ringrazio per l’attenzione, confidando davvero in buone notizie che possano consentire di riconciliarsi con i sentimenti di equità e di giustizia.