di Stefano Perri – La volontà politica c’è, ma di passi in avanti concreti al momento non se ne vedono. L’Aeroporto dello Stretto continua a rimanere un predicato al futuro, un desiderio quasi platonico,
un classico esempio del sempre più calabro ”vorrei ma non posso”.
E’ però da dire che nel mercato globale dei trasporti chi sta a cincischiare rimane indietro. La competizione è spietata e segue il ritmo del denaro sonante, dei numeri, delle cifre a bilancio.
Mentre gli altri aeroporti italiani fanno i fatti, compresi quelli delle regioni del sud, compreso quello di Lamezia Terme, a Reggio Calabria si continuano a fare parole. Parole, scenari, scontri ed incontri. Ed i protagonisti ormai da qualche anno a questa parte sono sempre gli stessi. La Provincia da una parte, socio di maggioranza, dall’altra la Regione che mette i soldi (o almeno dovrebbe metterli) e adesso vorrebbe contare di più, in mezzo la Camera di Commercio di Reggio, il Comune che da un po’ di tempo latita anche a causa del Commissariamento e la Provincia Regionale di Messina che sembra aver spostato il suo interesse su altri lidi. Soggetti politici, anzi personalità politiche sarebbe meglio dire, che spesso scambiano il territorio per un tabellone da Risiko.
Che la politica debba dire la sua su quella che oggi, assieme al porto di Gioia Tauro, rappresenta la più importante infrastruttura trasportistica della provincia reggina, è certamente plausibile. D’altronde la forma organizzativa e la composizione della stessa Società di Gestione, con il Cda costituito dai rappresentanti degli Enti che la compongono, suggerisce un dibattito interistituzionale. Ma che l’Aeroporto si trasformi in un terreno di scontro elettoralistico no, questo proprio non possiamo permettercelo.
Non può permetterselo la città, che sull’aeroporto e l’offerta volativa si gioca la gran parte delle sue aspettative turistiche, nonché la possibilità di mettere sul banco carte importanti nel percorso di integrazione con la sponda siciliana dello Stretto. L’Aeroporto rappresenta evidentemente per Reggio e per i reggini un’occasione da non lasciarsi scippare.
Non si può continuare ad assistere inermi al balletto dei posizionamenti politici, soprattutto adesso che, bilanci alla mano, il baratro è davvero dietro l’angolo. Il rischio in questo momento è davvero quello della bancarotta. Ed i numeri non fanno sconti a nessuno.
E mentre tutto ciò avviene la politica, certamente la solita politica, continua ad utilizzare l’aeroporto (e la Sogas) come un terreno di scontro. Uno scontro che però non va nella direzione della competizione a rialzo, della dialettica costruttiva, ma si gioca sul terreno del veto incrociato, degli sgambetti reciproci, delle gelosie e delle primogeniture. E come la storia dimostra questo tipo di contesa, che dalla dialettica politica è lontana anni luce, rischia di lasciare sul campo, anzi forse lo ha già fatto, una lunghissima serie di contusi.
Contusi per il momento sono certamente i lavoratori dell’Aeroporto, sui quali da mesi pende la pesante scure dei tagli ma, soprattutto, i reggini, che dall’aeroporto vorrebbero partire o, ancora meglio, veder arrivare turisti. Ed invece sono stati costretti ad assistere, via via, ai periodici furti delle diverse compagnie aeree di passaggio in riva allo Stretto, avvezze all’ormai consueta pratica del ”prendi i soldi e scappa”, lasciando l’Aeroporto sostanzialmente nella peggiore delle condizioni: senza moneta e senza voli. E nel frattempo la politica continua a farsi piccola piccola di fronte ai grandi interessi economici delle compagnie aeree e però poi a gonfiare il petto quando c’è da litigare per intestarsi i meriti di questa o quell’altra briciola lasciata sul tavolo alla fine del lauto pasto consumato. Solo che da un po’ di tempo a questa parte, anche le briciole sono terminate. Ed il fatto più grave è che la politica, la solita politica, pare che non se ne sia neanche accorta. E continua a suonare la sua orchestrina mentre però, ormai è chiaro a tutti, la nave è già nell’atto di affondare.