Quella canottiera a righe, sporca di fango, pochi l’hanno dimenticata. Era un inizio estate caldo. Era il giugno 1981. Il 10, per l’esattezza, di venticinque anni fa. Alfredino, in gita con i genitori nelle campagne di Vermicino, alle porte di Roma, giocando, cadeva nel “pozzo maledetto”. L’Italia intera rimase per i tre giorni successivi incollata al televisore, con la radio perennemente accesa. L’angoscia delle prime concitate ore
alla ricerca della soluzione migliore nei tempi più rapidi per raggiungere e salvare il bambino. La speranza. Il primo tentativo. La tavoletta legata a una fune, che spezza violenta i primi sogni, incastrandosi nel pozzo. Il microfono che scende. Si sente la voce del piccolo. Alla bocca del pozzo comincia ad arrivare tanta tanta gente dai paesi vicini. Tutti vorrebbero parlargli, dargli conforto. La nazione però, affida la sua angoscia alle parole del vigile del fuoco Nando Broglio. Instancabile “padre-amico” nelle lunghe ore di quei giorni. Si tenta di rimuovere la tavoletta, mentre pochi metri più in là la trivella comincia a scavare un pozzo parallelo per raggiungere Alfredino. Intanto, gli uomini del pronto soccorso riescono a calare giù una flebo per cercare di nutrirlo. Arriva anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il “nonno” e il bambino, commuovono l’Italia tutta. Ma la speranza sembra più lontana quando alla distanza coperta dalla trivella, improvvisamente, si aggiungono quei trenta metri di profondità che hanno spinto Alfredino ancora più sotto. È un’interminabile agonia. Il paese si ritrova sveglio di notte davanti alla tv, in attesa di quel “ce l’hanno fatta” che non arriverà mai. Si cerca di imbracare il bambino. Scendono Angelo Licheri e Donato Caruso. Si tenta il tutto per tutto. E’ il terzo giorno. Il sole è sorto da poco quando Alfredino muore. L’Italia ancora sveglia resta silenziosa per molti giorni a venire.