di Enzo Vitale* – Per chi non è protetto da una lobby,e non ha fini personali o particolari da perseguire, muoversi dialetticamente in autonomia, quindi esprimere la propria opinione in libertà su temi oggi in cima all’agenda
mediatica calabrese, ovvero sull’esistenza della c. d. borghesia mafiosa, con ogni probabilità significa fare la fine del vaso di coccio tra quelli di ferro.
Ma chi rappresentano i vasi di ferro? Posto che il vaso di coccio è rappresentato dall’intellettuale indipendente, dal libero pensatore che ha la “presunzione” di voler esprimere verbalmente il proprio pensiero, che pratica l’”arroganza” di voler trasporre le parole in scrittura, che è affetto dalla “follia” di pensare di poter trasformare in fatti concreti il proprio pensare e dire e scrivere; i vasi di ferro, non in ordine di importanza, si possono identificare in quattro caste: 1) politici; 2)magistrati; 3)delinquenza organizzata; 4) borghesia mafiosa.
Dei politici e del loro eccesivo peso e potere, del loro abusare e tradire il mandato rappresentativo conferitogli democraticamente, della sostanziale loro autoreferenzialità, si è parlato già abbastanza. Anche dei magistrati, del potere discendente dall’abito che indossano e non dal loro personale peso culturale e morale, del loro corporativismo e protagonismo, dell’ondivago giustizialismo, se ne è parlato a sufficienza. Così anche della ‘ndrangheta, o della camorra o della mafia, con i loro riti e strutture relazionali. Poco o nulla si sa, invece, del primo vaso di ferro, della borghesia mafiosa, che non è, come il nome lascerebbe presupporre, solo una produzione meridionale ma germoglia e fiorisce dalle dolomiti sudtirolesi ai nebrodi siciliani.
Chi è il borghese mafioso, definizione apparentemente insensata, dato il collidere delle due parole, ma che proprio nella sua “impossibilità” racchiude il suo senso? Per borghese mafioso non si intente solo quella cosiddetta zona grigia che dialoga e fa affari con la mafia, pur non essendo a essa organica, non prendendo posizione contro e negandone se non l’esistenza di certo la pericolosità sociale. Prima o poi l’appartenente alla citata zona viene riconosciuto e come tale considerato.
Il borghese mafioso è anche quello mimetizzato, assolutamente indistinguibile da una persona pulita: è uno stimato professionista o imprenditore, spesso le sue frequentazioni sono di alto livello, è quasi una regola la sua appartenenza a un club di servizio – di cui quotidianamente ne tradisce mission e regolamento che pure ha promesso di rispettare e osservare all’atto della sua ammissione – come anche l’iscrizione a uno o più circoli; ma può anche essere una persona modesta nell’apparenza e nello spirito, che non “frequenta”, come si suole dire, ovvero che non favita sociale per inclinazione o per necessità economiche.
Insomma il borghese mafioso , quello cui si riferiva il governatore Scopelliti in un suo recente intervento a proposito della sanità calabrese, non ha etichetta e il suo vivere sociale è assolutamente normale.
Cos’è quindi che rende il borghese un borghese mafioso, visto che da qualsiasi parte lo si osservi la sua apparenza è innocua? Posto che la ricerca del proprio maggiore interesse, o quello dei propri familiari o amici, è assolutamente legittima, quando non si persegua a discapito di altri e quando comunque si contribuisca, secondo le proprie capacità e inclinazioni, alla costruzione del bene comune e all’incremento del c. d. capitale sociale; il borghese diviene mafioso quando, nella ricerca del citato maggiore interesse,piega a questa leggi e regolamenti, le subordina aspettative e diritti degli altri e della società nel suo insieme, con un’operatività che fa della violenza (non certo fisica, come quella esercitata dalla delinquenza comune, ma non meno pericolosa e “inquinante” di questa) e dell’assenza di un’idea di bene comune una sua caratteristica costante e identificativa.
Ogni qual volta la ricerca del proprio bene viene operata in danno altrui o sociale ed è sganciata da un’ottica di bene comune,ogni volta che un posto o un privilegio si ottiene per scambio di favori, ogni volta che entra in gioco il nepotismo o il familismo(ricordiamoci che siamo pur sempre figli di quel meridione italiano visitato da Banfield negli anni Cinquanta, quando coniò il termine di familismo amoralenel suo “Le basi morali di una società arretrata”), ogni volta che si elude la legge o la si raggira per interesse; ecco che entriamo in quella sfera di comportamenti che, pur a volte non penalmente rilevanti, sono comunque moralmente condannabili e, se estremizzati, definibili come mafiosi.
Tornando a Scopelliti, come si fa a non ammettere che ha ragione? La sanità calabrese i borghesi mafiosi se la sono letteralmente mangiata (a colpi di assunzioni truffa e concorsi truccati, di gare pilotate e presìdi inutili, ecc. ),pasteggiando comunque sempre con i rappresentanti della altre caste: con i politici (quelli corrotti, che sono stati e sono la maggioranza), con i mafiosi (quelli seri e non da baraccone) e, naturalmente, con i magistrati (quelli che non c’erano e se c’erano dormivano).
*coordinatore laboratorio politico Città Libera