di Teodora Malavenda – “Ho come l’impressione di annoiarmi nel fare le stesse cose e quindi cerco pretesti, alibi, cose che mi diano la sensazione, o la reale possibilità, di rivalutarmi e reinventarmi di continuo”.
Siamo “A Meridione”. E la frase riportata è di Carmine Torchia.
Calabrese purosangue, nato e cresciuto a Sersale (Catanzaro), dopo la laurea in Architettura piuttosto che occuparsi di prospettive, assonometrie e render, si dedica alla sua più grande passione: la musica. Attratto da un bisogno che lui stesso definisce fisiologico.
Note e parole si trasformano attraverso le sue corde vocali in suggestive poesie. Scenari, quelli evocati nelle canzoni, che sembrano venire fuori da tele dipinte da abili mani esperte, espressione di pennellate morbide ed eleganti.
Nel 2008 viene pubblicato Mi pagano per guardare il cielo, il suo primo lavoro discografico per Castorone Edizioni Musicali. L’album sarà portato in giro in un viaggio-tournèe Piazze d’Italia (sulle tracce di de Chirico) durante il quale l’artista sperimenta un modo alternativo di promozione: nelle piazze durante il giorno, alla sera nei locali.
Nel 2009 con Quest’Amore partecipa alla XX edizione di Musicultura, vincendo il Premio SIAE per la migliore musica e il Premio AFI come miglior progetto discografico e migliore interpretazione.
In attesa dell’uscita del prossimo album (prevista nel 2011 ndr), vi proponiamo la seguente intervista, rilasciata dopo il live alla Facoltà di Architettura di Reggio Calabria.
“A Meridione” è il titolo della canzone che hai presentato alle selezioni per il festival di Sanremo: un richiamo esplicito alla tua terra. Cosa rappresenta per te il sud?
Il Meridione, come ho scritto nella presentazione del pezzo, è prima di tutto un mondo di onestà, tolleranza, rispetto, amicizia fra i popoli che si sono da sempre saputi rapportare favorendo scambi di culture, creando un immaginario poco europeo e molto mediterraneo. L’idea è di far capire alla gente che non ha mai vissuto il Meridione, cosa sia esattamente, depurandolo di tutte le distorsioni che arrivano, ma anche di ricordare alla gente che ha lasciato il Sud per mancanza di lavoro, che il Meridione ha bisogno della sua gente.
Come hai vissuto l’esperienza pre-sanremese?
La prima fase è stata buona, tutto sommato. Le giurie sono qualificate, la gente che giudica è seria. Portando un pezzo in dialetto facevo parte della categoria DOC, un po’ mi fa ridere sta cosa, mi fa venire in mente il Cirò… C’è questa volontà di portare le lingue dialettali sul palco dell’Ariston. Io ho scritto un album che porta il nome del pezzo, “A Meridione”, che sia il momento buono per farlo uscire?! Un lavoro fatto su poeti calabresi. E’ un viaggio sulla vita a Meridione, coi suoi ritmi lenti e cadenzati.
Ti laurei in architettura ma poi fai il musicista. E’ un vezzo di molti architetti che alla professione preferiscono altro, vedi la sottoscritta. A te cos’è successo? (ridiamo…)
Ti voglio rispondere come rispose Gino Paoli alla stessa domanda: “E’ un fatto fisiologico. E’ come quando devi andare a pisciare: non puoi fare altro.”
Musica e architettura: due discipline, i cui linguaggi spesso si sovrappongono, finendo, come nel tuo caso, per coesistere. Qual è il tuo pensiero in merito?
Sono due attitudini parallele. Entrambe s’insediano in quella sfera artistica, dove la bellezza e l’utilità sono esigenze da soddisfare. Nella musica come nell’architettura esistono il ritmo e l’armonia. Credo che tutte le arti per emozionare davvero e per comunicare delle sensazioni, devono essere poetiche e l’architettura e la musica, alle volte, sanno esserlo.
Il nome di un poeta, quello di un pittore e quello di un architetto.
Giuseppe Ungaretti, Amedeo Modigliani, Carlo Scarpa.
Influenze musicali?
La musica rock, i cantori calabresi, la musica elettronica, i cantautori, i poeti. Includo questi ultimi perché sono i più abili musicisti, perché usano la parola come suono.
Un paio di nomi.
Piero Ciampi, Fabrizio De André, i Pink Floyd.
Tra le tue canzoni, ce n’è qualcuna alla quale sei particolarmente legato?
Io credo che le canzoni che scrivi sono un po’ come delle figlie. L’amore che provi è uguale per tutte. Sicuramente hanno caratteristiche diverse: quelle più dirette, quelle più ermetiche, quelle più divertenti, quelle che ti bucano lo stomaco. Non saprei fare una classifica. Piuttosto mi piace conoscere le reazioni di chi ascolta. Mi piace vedere quale mia canzone si preferisca, perché mi dà l’impressione di comprendere il tipo di persona con cui ho a che fare.
Progetti futuri?
Chiudere questo tour che oramai dura da più di due anni. La promozione del disco (Mi pagano per guardare il cielo) mi ha portato a fare tanti concerti in giro per l’Italia. Nel frattempo ho fatto altre cose parallele. Ora mi devo fermare un po’ e concentrarmi sul nuovo album. Suonerò fino alla fine dell’anno e poi lavorerò ai pezzi nuovi.