di Teodora Malavenda – E’ prevista per il prossimo 26 dicembre la presentazione ufficiale di Resistenza sonora (Clicca qui per vedere il video), l’ultima fatica discografica dei Kalafro. Loro sono un collettivo musicale di origine reggina, attivo sin dai primi anni
duemila. Nicola Masta P Casile, Simone Mad Simon Squillace, Bruno Easy One Timpano, Francesco Ciccioshiva Creazzo e Francesco Kento Carlo, questi i nomi dei componenti, propongono un progetto difficilmente identificabile in uno specifico genere musicale e accattivante sin dalle prime battute. Dall’ascolto dei brani emerge infatti uno spiccato eclettismo sonoro e una forte attenzione alla stesura dei testi, attenzione che si focalizza sin dal primo demo-cd (2003 Le Parole ndr) sulle tematiche sociali. ‘Ndrangheta, politica, razzismo, ponte sullo stretto, ambiente, questi e molti altri gli argomenti affrontati, mai con approccio qualunquista ma sempre con un linguaggio forte e diretto, quello tipico del rap, stemperato dalle note reggae e caratterizzato dalle influenze folk.
Nei giorni scorsi abbiamo sentito parlare dell’operazione-luna di cui si sono fatti promotori. L’immagine di un vetro sparato, dall’aspetto assimilabile a quello di una luna piena, con su scritto a caratteri cubitali No alla ‘ndrangheta, è apparsa sulle mura del Castello Aragonese, uno dei monumenti-simbolo di Reggio Calabria. E’ stata proprio la singolarità dell’iniziativa a stimolare la curiosità dei cittadini e dei media non solo locali. “L’intento era quello di scuotere gli animi reggini e di invitarli ad alzare la testa contro il grande Male che affligge la nostra Terra”. Dietro questo gesto meritevole (e direi anche coraggioso) si concretizza la recente collaborazione dei Kalafro con il Museo della ‘Ndrangheta. Parliamo di questo e di molto altro nell’intervista che segue. Un’incontro a suon di battute e soprattutto all’insegna della speranza. La speranza in un cambiamento possibile. Con l’Impegno!
Parlatemi un po’ dell’ “operazione luna” e di cosa avreste voluto ottenere (o avete ottenuto) attraverso un’azione abbastanza inusuale a Reggio Calabria.
Si tratta di un’iniziativa a cui pensavamo da un po’ di tempo, e che volutamente abbiamo voluto collocare in un momento abbastanza lontano dall’uscita del disco in modo che fosse chiaro che non si tratta di un messaggio legato tanto alla nostra musica quanto alla coscienza civile di cui, in quanto giovani artisti, sentiamo il dovere di farci portavoce.
Ho avuto il piacere di ascoltare in anteprima il vostro disco e si evince un atteggiamento di militanza anti-‘ndrangheta. Si tratta di un argomento forte e direi anche delicato: credete che la musica possa dare un contributo positivo in tal senso?
Parlare di un problema serve (nel nostro piccolo) a metterlo al centro del dibattito e a renderlo quotidiano, a farlo uscire dai silenzi, dal non detto, da una certa “mitologia”. Tutti noi veniamo da una storia musicale molto legata al rap combattente, quando non militante: gruppi come Public Enemy, 99 Posse ma anche i grandi cantautori come De Andrè e Guccini sono la nostra storia. Era inevitabile che ne subissimo le influenze trasportandolo nella nostra realtà.
Al primo ascolto si capisce subito che non si tratta di un disco definibile attraverso un genere musicale. È stata una scelta premeditata o un fatto casuale?
Abbiamo sempre voluto parlare alla gente, ma soprattutto alla gente della nostra terra con un linguaggio che è il suo e il nostro. Recuperare il folk del Sud Italia ed accostarlo al rap e al reggae significa, per noi, recuperare una dimensione più ampia di “musica popolare” ed accostarla al messaggio dei nostri testi.
Provenite tutti e vivete alcuni in una terra attanagliata da noti e seri problemi: nell’ultimo anno hanno avuto risalto nazionale nella cronaca i fatti di Rosarno, le “navi dei veleni”, le bombe alla Procura… eppure in brani come Calabria mia si percepisce il forte legame che avete con la vostra terra. Parlatemene.
Non diremmo certe cose, non daremmo certi messaggi se non amassimo Reggio e la Calabria. Noi non siamo assolutamente dell’avviso che tutto sia perduto e niente da recuperare: dalle nostre parti ci sono molte realtà al centro della lotta e anche dal punto di vista della scena artistica abbiamo molti dei suoi protagonisti schierati dalla nostra parte. E sicuramente amare la nostra terra significa anche progetti scellerati come il Ponte e la Centrale a Carbone. Abbiamo i piedi incatenati alla nostra terra.
Cosa vi aspettate da questo nuovo progetto musicale?
Un bel po’ di live in giro per l’Italia, connessioni ancora più strette ed organiche con i movimenti antagonisti di tutto il Paese, essere una delle tante realtà attive nel cambiamento di Reggio.
Nelle canzoni fate spesso riferimento alla libertà. Cos’è per voi la libertà?
La libertà è ovunque, e non è in nessun posto. E’ nel nome dei partiti politici, è nei sogni di interi popoli, è nei desideri di ognuno di noi, ed è una cosa diversa in base a chi ne parla. Per il nostro Presidente la libertà è fare impresa, pagare poche o nessuna tassa e arricchirsi; per altri è vivere senza regole, senza costrizioni, senza vincoli; per me, come per Gaber, è partecipazione. La libertà è libertà dal bisogno. La libertà è uguaglianza. La libertà è dire che la casa è un diritto, l’istruzione è un diritto, l’assistenza sanitaria è un diritto, il lavoro è un diritto, la dignità è un diritto.
Nel brano Non mollare mai dite che c’è bisogno di “… una generazione incorruttibile che sappia sognare…”. Questo significa che la nostra generazione non ha più ideali in cui credere?
No, anzi è un auspicio per la nostra generazione, ma soprattutto per quella che verrà dopo, per i ragazzi di Reggio che oggi respirano questo clima troppo pesante, per gli studenti che lottano in piazza…
Suonate assieme ormai da quasi otto anni: mi piacerebbe sapere da dove siete partiti e dove oggi siete arrivati.
Siamo arrivati ad una maggiore consapevolezza del mezzo espressivo e ad un’esperienza live che sinceramente non ci saremmo immaginati. Il gruppo Kalafro è composto da cinque persone, ma il collettivo Kalafro è molto più ampio: è fatto di persone che ci vogliono bene e ci supportano.
In Struggle cantate “… tengo distinto il giornalismo e la notizia, tengo distinto il giudice, il giudizio e la giustizia …”. È un invito implicito a non accumunare, per esempio, i Calabresi alla ‘ndrangheta?
È un invito esplicito a non generalizzare e a non cercare risposte facili in ció che si vede nei telegiornali o in un certo giustizialismo. L’unica risposta alla ndrangheta è la coscienza sociale e collettiva, non saranno i giornalisti o i giustizieri a portarci il nostro domani, ma la nostra stessa gente.
Nella trascinante Ballata collettiva ne avete anche una contro la legge Bossi-Fini. Senza voler inquinare la discussione di politica, ma pensate che il Fini di oggi riproporrebbe la stessa legge?
Forse ne farebbe una peggiore. Non lo sappiamo, sappiamo che siamo dalla parte dei migranti.
Come e perché nasce la collaborazione con il Museo della ‘ndrangheta?
Nasce semplicemente dal fatto che siamo sulla stessa barricata. Noi siamo una realtà indipendente e dai contorni netti e chiaramente individuabili, come il museo. Le scelte di entrambe le realtà sono state naturali. E’ un modo di fare rete e sposare una causa comune, vitale per noi e la nostra gente.
Oggi i politici, e non solo, non fanno altro che dare la colpa alla “crisi”. E a quanto pare deve essere una crisi reale se anche voi avete scritto un pezzo intitolato proprio Crisi. Come percepite voi questa “condizione”?
La crisi non è pioggia, non è una mareggiata, non è un fenomeno fisico. E’ un fenomeno economico, e quindi la crisi sono i potentati economici, gli oligopoli, il capitalismo.Nel Mondo che immaginiamo, che non è un mondo impossibile invece della crisi e della recessione ci sarà la decrescita, un nuovo modello economico pianificato.
E’ la prima volta che proponete delle cover di altri artisti. Frutto della vostra evoluzione artistica o che altro?
Una cover ha un senso quando significa reinterpretare e dare un tuo colore, un tuo senso, una tua vitalità a note e parole di altri. Penso che ci siamo riusciti, ma ovviamente dovrà essere l’ascoltatore a dirlo.
Se ci fosse la possibilità che un pittore trasferisse su tela il vostro disco, chi vorreste che fosse?
Guttuso, se dobbiamo fare un nome.
Il nome di uno scrittore, quello di un cantante e/o gruppo musicale e quello di un regista.
Pino Aprile, Bob Marley, Monicelli, anche qui però i nomi sraebbero di più…
Andate via o rimanete?
“Non andare, vai, non restare, stai, non parlare, parlami di te…”.