Di Anna Foti – Una scelta che cambiò per sempre il volto dell’Italia e la sua storia: il 2 giugno 1946 l’Italia divenne una Repubblica. Quella scelta fu anche delle donne.
La storia della Repubblica coincide in Italia, infatti, con il primo voto politico femminile (le donne avevano votato per la prima volta alle elezioni amministrative del marzo del 1946).
Un diritto al Voto, di fatto unico risultato di un riconoscimento che anche in Italia si faceva strada e che le Donne – partigiane e protagoniste della Resistenza civile oltre che armata – ampiamente meritavano. Lo meritavano nonostante la società non fosse ancora pronta. Per questa ragione il riconoscimento fu lento e tortuoso ed ancora oggi non giunto a pienezza.
Primaria possibilità di esprimere una volontà e determinare un cambiamento, il diritto al voto interrava già i semi dell’affermazione della libertà di persone, donne, lavoratrici, mogli, madri. Nel mondo, non solo in Italia, non era solo lo Stato ad ignorarle e a deriderle ma erano anche gli uomini (non tutti ma gran parte, figli di una granitica subcultura) mariti, padroni e sfruttatori, a tenerle sotto scacco, a ripudiarle e a privarle dei figli, in nome di una legge fatta da soli uomini per soli uomini. Il voto rappresentò un viatico per una Libertà più ampia e autentica.
Il lungo cammino per l’Uguaglianza attraverso il diritto al Voto iniziò alla fine del 1800 in Inghilterra (i primi fermenti in Europa risalgono ad un secolo prima in Francia*). Solo nel 1918 si registrarono i primi risultati Inghilterra con il voto alle donne sposate e almeno trentenni. Nel 1925 fu approvata la legge che riconobbe alla donna i diritti di madre. Il suffragio pieno e universale arrivò dieci anni più tardi, nel 1928.
La storia delle suffragette è e resta patrimonio collettivo prezioso per la conquista di un diritto fondamentale come quello al Voto alla quale hanno coraggiosamente condotto. Essa fu preludio della possibilità delle donne non solo di rappresentarsi, scardinando il granitica convinzione che solo gli uomini della famiglia avessero il diritto di farlo, ma anche di rappresentare un popolo, altre donne e addirittura gli uomini.
Il cammino italiano approdò alla meta del riconoscimento del Suffragio Universale solo nel 1945 (con una apertura nel 1925 poi revocata nell’anno successivo) e venne esercitato dalle donne per la prima volta nel 1946.
Il suffragio universale in Italia
Figlia dell’Italia divisa dall’occupazione tedesca, la conquista del Suffragio Universale fu consacrata nel Decreto (numero 23) del presidente del consiglio dei Ministri, Ivanoe Bonomi (già sollecitato da Alcide De Gasperi al quale Palmiro Togliatti aveva già anche scritto una lettera in questo senso). Era il 31 gennaio 1945. Il successivo decreto del 10 marzo 1946 numero 74 sancì l’eleggibilità delle donne (dal 1945 già elettrici e adesso anche eleggibili solo se venticinquenni), le elezioni amministrative, iniziate il 10 marzo 1946 e protrattasi per cinque turni fino a 7 aprile 1946, e l’appuntamento con il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 – in cui vennero eletti i membri dell’Assemblea costituente che stese il testo della Costituzione e in cui il popolo italiano preferì la Repubblica alla Monarchia – segnarono poi le altre tappe fondamentali per la Storia dell’Italia a cui parteciparono anche le donne. Un percorso iniziato già qualche anno prima e in cui determinante un telegramma dell’Udi (febbraio 1945) per l’estensione alle donne anche dell’elettorato passivo.
Con decreto legge luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944, infatti, il governo Bonomi, a pochi giorni di distanza dalla liberazione di Roma, annunciò ufficialmente che alla fine della guerra sarebbe stata eletta a suffragio universale (dunque anticipava l’estensione del voto alle donne), con voto diretto e segreto, un’Assemblea Costituente che avrebbe scelto la forma dello Stato e scritto per l’Italia la Costituzione.
Successivamente il decreto legislativo luogotenenziale del governo De Gasperi del 16 marzo 1946, n. 98 implementò e modificò quel decreto, sancendo che un referendum popolare, e non l’Assemblea Costituente, avrebbe deciso il destino istituzionale dello Stato italiano. Con il successivo decreto luogotenenziale numero 99 del 16 marzo 1946 furono stabilite le norme per le votazioni per il referendum e per l’elezione dell’Assemblea costituente, eletta con sistema proporzionale e a suffragio universale (decreto legislativo luogotenenziale 10 marzo 1946, n. 74).
Dal 1 gennaio 1948 la Costituzione definì infine il quadro del diritto al Voto, distinguendo solo per età, e non più per il genere, l’elettorato per i due rami del Parlamento: elettorato attivo per tutti i cittadini e le cittadine maggiorenni (21 anni fino al 10 marzo 1975 quando nell’ambito della riforma del diritto di famiglia fu varata anche la legge numero 39 che ancora oggi fissa il conseguimento dell’età maggiorenne utile per l’acquisizione della capacità di agire a 18 anni) ed elettorato passivo alla Camera dei Deputati ai 21 anni (poi 18 anni) e al Senato per tutti i cittadini e le cittadine con età superiore ai 25 anni.
Il primo voto amministrativo delle donne in Italia: marzo – aprile 1946
Settantaquattro anni di voto femminile e di Suffragio Universale in Italia. Il primo voto delle donne (all’epoca ventunenni) nel nostro paese risale alle prime elezioni amministrative dopo il regime fascista, indette tra il marzo e l’aprile del 1946. Un momento importante che segnò anche la tappa iniziale per la partecipazione delle donne alla vita politica del Paese come elettrici e come cittadine eleggibili.
Il primo voto politico delle donne in Italia: 2 giugno 1946
Il passaggio epocale dalla Monarchia alla Repubblica dello Stato Italiano è stato frutto del Suffragio Universale. Dopo il voto amministrativo, il primo voto politico delle donne fu espresso in occasione dello storico referendum del 2 giugno 1946. In quell’occasione furono anche eletti i padri e le madri costituenti che avrebbero da lì ad un anno e mezzo scritto la Costituzione Italiana – fonte superprimaria del nostro ordinamento giuridico e scrigno di valori identitari della nostra cultura – entrata in vigore il 1 gennaio 1948. Scelsero la Donna Turrita 12 717 923 italiani e italiane. Per la monarchia a sbarrare sulla scheda elettorale lo Stemma sabaudo furono 10 719 284 italiani e italiane.
Furono poco meno di 13 milioni su quasi 25 milioni votanti, gli italiani, uomini e donne, che, chiamati a scegliere tra Monarchia o Repubblica, affidarono a quest’ultima forma di governo il destino di un paese, l’Italia, segnato dal dramma della guerra e dalle spaccature che il secondo conflitto mondiale aveva comportato.
Il 10 giugno 1946, dopo 85 anni di Regno (Umberto II di Savoia fu l’ultimo monarca), la corte di Cassazione dichiarò la nascita della Repubblica Italiana, il cui primo giorno fu proprio l’11 giugno.
Il 2 giugno 1946, su 556 componenti dell’Assemblea Costituente, furono anche elette soltanto 21 donne (pari a poco più del 3%), mentre in occasione del primo Parlamento della Repubblica, eletto il 18 aprile 1948 le donne elette raggiunsero appena la
soglia del 5%. Appena 49 su quasi mille parlamentari. Tra loro Nilde Iotti, futura prima presidente della Camera eletta nel 1979, Lina Merlin, promotrice dell’omonima legge sulla Prostituzione, e Angela Maria Cingolani Guidi, prima sottosegretaria di Stato, nominata nel 1951 per il Ministero dell’industria e del commercio del VII Governo De Gasperi.
La Repubblica nella Costituzione
Il 2 giugno (festa nazionale non più mobile dal 2001, quando ha riacquisito nuovamente la sua collocazione in questa data) inizia, dunque, anche la storia della nostra Costituzione, scrigno di valori e faro per la Repubblica italiana appena nata. Principi costantemente sfidati da ordinarie ingiustizie e disuguaglianze, ma non per questo meno autorevoli nella loro Storia, nella loro genesi e nel loro costante ruolo di monito di tensione ideale per l’Italia tutta. Padri e madri costituenti trasformarono le macerie in sogni, guardarono lontano ad uno Stato che si fondasse su ogni contributo utile allo sviluppo della personalità reso da uomini e donne, alla loro opera, individuale o collettiva, necessaria alla crescita del Bene Comune, al loro Lavoro. Immaginarono così la neo Repubblica italiana. Il Lavoro di tutti, non il privilegio di pochi. Il Lavoro come Valore e Diritto per costruire – ricostruire – il Paese insieme, non come condizione di sottomissione ed indebolimento, ma punto di forza ed occasione di crescita comune. L’operosità, non il parassitismo. Il rispetto della Dignità non lo sfruttamento. Il Lavoro come viatico per la Libertà, l’Indipendenza, lo sviluppo della personalità e della società.
L’articolo 1, come un verso, infatti decanta: ’L’Italia è una Repubblica Democratica, fondata sul Lavoro. La Sovranità appartiene del Popolo, che la esercita nei modi e nei limiti della Costituzione’. Inizia così a dipanarsi la visione dei padri e delle madri costituenti ispirata dalla neonata Repubblica. Una visione che culmina nell’intento fermo di conservare la Repubblica, di preservarla da derive e deliri di onnipotenza, sottraendola addirittura alla possibilità di revisione costituzionale. In modo lapidario e perentorio l’ultimo articolo (art.139) della stessa Costituzione (detta rigida per la complessità del processo di modifica, alter ego di una forte garanzia dei valorò sanciti) recita proprio che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”.
Donne della Resistenza, dell’Assemblea Costituente e della Repubblica
Solo ventuno, su 556 eletti, furono le donne all’Assemblea Costituente: Adele Bei, Bianca Bianchi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Maria De Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Maria Federici, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Angela Maria Guidi Cingolani, Leonilde Iotti (componente della Commissione dei 75 che lavorò alla proposta del progetto di Costituzione e prima presidente della Camera dei Deputati della storia Repubblicana 1979-1992),Teresa Mattei, Angelina Livia Merlin, Angiola Minella, Rita Montagnana Togliatti, Maria Nicotra Fiorini, Teresa Noce Longo, Ottavia Penna Buscemi, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Vittoria Titomanlio. Tra loro molte erano state partigiane (Laura Bianchini, Maria Federici, Angela Gotelli, Teresa Mattei, Angola Minella, Teresa Noce). La Calabria, nella Costituente, ebbe rappresentanti solo maschili.
I padri costituenti calabresi
Tra i 556 deputati dell’assemblea costituente, 21 furono le donne, tra le quali due siciliane, Maria Nicotra e Ottavia Penna Buscemi, e una pugliese, Vittoria Titomanlio. Unico eletto nel gruppo parlamentare del Blocco nazionale della Libertà fu il catanzarese Francesco Caroleo (1891 – 1957). Vi fu anche un’attiva rappresentanza espressa dal gruppo dei Comunisti: il fautore della Costituente Fausto Gullo (Catanzaro, 16 giugno 1887 – Spezzano Piccolo, 3 settembre 1974), promotore della legislazione agraria riformatrice da ministro dell’Agricoltura nel secondo governo di Pietro Badoglio e nel secondo governo De Gasperi, incarico ricoperto fino al 1946 quando, nominato ministro di Grazia e Giustizia, fu sostituito all’Agricoltura dal possidente terriero democristiano Antonio Segni; l’insegnante Luigi Silipo (Catanzaro, 16 luglio 1900 – 31 marzo 1978) poi transitato nel gruppo misto; l’avvocato Eugenio Musolino (Gallico, 20 giugno 1893 – Reggio Calabria, 2 settembre 1989), senatore di diritto nelle prime elezioni politiche del 1948 e poi, nel 1953, eletto deputato con l’incarico di vicepresidente della Commissione Giustizia.
Il partito più rappresentato dai padri costituenti fu la Democrazia Cristiana con il magistrato Edmondo Caccuri (Torano Castello, 13 giugno 1903 – Roma, 13 agosto 1959), gli avvocati Benedetto Carratelli (Amantea, 3 agosto 1891 – 12 agosto 1976) e Gennaro Cassiani (Spezzano Albanese, 13 settembre 1903 – Roma, 14 luglio 1978), sottosegretario ai Lavori pubblici nel secondo e nel terzo governo Bonomi, sottosegretario al Lavoro e previdenza sociale nel Governo Parri e nel I e II Governo De Gasperi, sottosegretario alla Giustizia nel IV e nel V Governo De Gasperi, sottosegretario al Tesoro nel VII Governo De Gasperi (con delega ai danni di guerra) e nell’VIII Governo De Gasperi, oltre che nel Governo Pella, ministro delle poste e delle telecomunicazioni nel I Governo Fanfani e nel Governo Scelba ed infine ministro della marina mercantile nel I Governo Segni, nel Governo Zoli e nel I Governo Andreotti. Gli altri padri costituenti del gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana furono: Filippo Murdaca (Locri, 20 aprile 1906 – Locri, 24 settembre 1999); l’avvocato e poi sindaco di Cosenza Adolfo Quintieri (Cosenza, 22 maggio 1887 – Cosenza, 13 luglio 1970), relatore di disegni di legge in materia di pubblica amministrazione, finanza, organizzazione degli enti locali, delle leggi di riforma tributaria del ministro Vanoni, e componente del consiglio dell’Associazione Nazionale dei Comuni d’Italia; Giacinto Froggio (Vibo Valentia, 15 febbraio 1919 – 22 aprile 2002); lo scrittore, giornalista e politico Vito Giuseppe Galati (Vallelonga, 26 dicembre 1893 – Roma, 13 ottobre 1968) poi non rieletto al Senato per pochi voti e tornato alla sua professione di libero docente di Letteratura Italiana all’Università di Napoli; Alessandro Turco (Castrovillari, 16 gennaio 1869 – Castrovillari, 23 marzo 1956); Nicola Siles (Reggio Calabria, 20 luglio 1873 – 21 gennaio 1952), primo sindaco di Reggio Calabria del Dopoguerra eletto a suffragio universale nel marzo del 1946.
Storie
Verso la Repubblica a Reggio Calabria.
Rita Maglio, femminista ante litteram
In particolare alla passione politica e civile di Rita Maglio oggi si ascrive l’organizzazione clandestina a Reggio Calabria, unitamente ad altri, del partito Comunista italiano e la fondazione anche in punta allo Stivale nel 1945, stesso anno in cui si costituiva formalmente anche a Roma, dell’Udi, Unione Donne Italiane.
Semi di democrazia e libertà piantati, dunque, a Reggio Calabria, città pioniera per l’Unione Donne Italiane che in quello stesso momento storico si poneva a livello nazionale come maggiore organizzazione femminile di promozione politica, sociale e culturale.
La storia di Rita si inserisce nella grande storia della Resistenza, dell’Antifascismo, della nascita della Repubblica e del partito Comunista italiano, del preludio del Femminismo del Dopoguerra in Italia: tutto armoniosamente condensato nella figura di un’educatrice indimenticata dalle sue alunne alle quali seppe trasmettere i valori della Libertà e dell’Indipendenza in un momento storico in cui il retaggio patriarcale era forte e profondamente radicato, potremmo dire granitico e indiscutibile.
L’impegno associativo ed anche l’impegno politico: nel 1956 fu eletta consigliera comunale di Reggio Calabria e fu la prima donna eletta nelle fila del partito Comunista a conquistare uno scranno nell’Assise cittadina. Rita Maglio seppe coniugare con dolcezza e determinazione il riscatto delle donne e l’impegno per l’Italia Repubblicana e la Democrazia, ancorando il suffragio universale, il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro delle raccoglitrici di olive della Piana di Gioia Tauro, la parità salariale e il diritto all’alfabetizzazione dei minori e dei reduci, alla più ampia lotta per un’uguaglianza senza la quale nessuna libertà è possibile.
La figlia Silvana Croce ne ha seguito le orme ed è stata anche presidente dell’Udi di Reggio Calabria negli anni Sessanta.
10 Marzo 1946, prime elezioni a Reggio ed in Calabria con suffragio universale:
Maria Mariotti, prima donna eletta in Consiglio Comunale a Reggio Calabria
Tra le donne della Costituente per poco non venne eletta con 18 mila preferenze anche la reggina Maria Mariotti, prima donna invece eletta consigliera comunale della storia a Reggio Calabria nel marzo del 1946. Otto furono le donne candidate nella provincia reggina in questa storica tornata elettorale in cui la donna poté per la prima volta votare ed essere votata. Candidatasi nelle fila della Democrazia Cristiana, Maria Mariotti è stata in carica fino al 1953. Fervente anima del Movimento cattolico femminile in Calabria, attiva nell’Azione Cattolica, nelle sezioni della Fuci e del Meic, fu attiva anche nel Centro italiano femminile, nato a Reggio nel 1945 con la prima presidente Maria Cappelleri. Docente di filosofia, Maria Mariotti ci ha lasciato lo scorso anno – all’età di 103 anni – permeata dalla Fede da un’intensa esperienza religiosa.
Filosofia e Fede, impegno sociale e attività politica. Maria Mariotti classe 1915 visse tra i suoi libri impreziositi dalla sua elegante calligrafia, toccò la vita di tanti giovani ai quali insegnò la filosofia, animò la sezione calabrese della Deputazione di Storia Patria che diresse a lungo e fu direttrice onoraria della Rivista Storica Calabrese.
Contribuì con la stesura di alcune biografie al Dizionario storico del movimento cattolico italiano e nel 1969 pubblicò, con i caratteri dell’Editrice Antenore di Padova, l’opera Forme di collaborazione tra vescovi e laici in Calabria negli ultimi cento anni.
Memorie e documenti
Presso l’archivio di Stato di Reggio Calabria è custodita la documentazione che attesta le prime elezioni amministrative dell’epoca (a Reggio Calabria si votò il 7 aprile 1946) e l’elezione di Maria Mariotti, prima donna consigliera comunale di Reggio. In occasione di quella storica tornata amministrativa in Calabria furono elette anche altre donne e due divennero sindache, le prime due in Calabria tra le dieci elette in tutta Italia. Furono Caterina Tufarelli Palumbo Pisani a San Sosti in provincia di Cosenza e Lydia Toraldo Serra a Tropea, allora in provincia di Catanzaro e oggi di Vibo Valentia.
E adesso…
La conquista del voto sconvolse un ordine sociale che c’era interesse – non debellato del tutto ed in molti paesi del mondo ancora radicato – a tenere capovolto.
Oggi sia gli uomini che le donne sanno chi le donne siano e ciò ha contribuito anche alla scoperta di chi gli uomini siano in una società davvero giusta, in cui le leggi siano strumento di convivenza civile piuttosto che generare sottomissione, iniquità e pregiudizi.
La storia di ogni popolo è fatta da uomini e donne, entrambi metà di un cielo che non può fare a meno, per sostenersi e non crollare, di nessuna delle sue due parti.
Diritti e libertà non sono ancora di tutte le donne e di tutte le bambine e finchè sarà così diritti e liberà non saranno davvero di tutti, dunque non saranno davvero di alcuno.
*L’Udi Monteverde ha ricostruito la storia dei primi passi verso la conquista del diritto al voto alle donne. Qui di seguito uno stralcio del documento.
Centotrent’anni per un diritto
1790
“Declaration des droits de la femme et de la citoyenne” di Olympe De Gouges
1792
Nasce la “Vendication of rights of Women” di Mary Wolstoncraft. Si sostiene che l’emancipazione totale dell’umanità non è possibile se non con l’educazione integrale e l’emancipazione della donna. Sarà il manifesto del femminismo ottocentesco.
Nasce a Berlino “Von der burgerlichen Verbesserung von Weiber” di Teodora Gottlieb von Hippel.
Rivendica per le donne gli stessi diritti degli uomini dal punto di vista economico, civile e politico.
Per una trasformazione totale e civile della società.
1886
John Stuart Mill presenta un emendamento a favore del voto alle donne, che, trasformato in petizione, raccoglie 1499 firme. Un anno dopo Mill propone di sostituire nel Reform Bill, man con person. Ottiene tre voti a favore e 196 contro.
1868-70
A Londra, Birmingham, Bristol, Edinburgh nascono le prime “Societies for Woman’s Suffrage”.
Negli Stati Uniti nasce “National Women’s Suffrage association”. Il Wyoming ammette le donne al
voto
1878
La London University ammette le donne alla laurea. Al Congresso americano il senatore Sargent
presenta “l’emendamento Anthony” ripreso 42 anni dopo: “il diritto dei cittadini degli Stati Uniti al voto non sarà negato o limitato dagli USA o da qualsiasi singolo Stato sulla base del sesso”.
1884
Alla Camera dei Comuni i liberali di Gladstone bocciano l’emendamento Woodall che propone il voto alle donne nubili e vedove.
1890
Negli Usa nasce la “National American Women Suffrage Association”, di cui saranno presidenti prima la Stanton, poi Susan Anthony.
1893
Voto alle donne in Nuova Zelanda, colonia inglese. Primo paese ad introdurre il
Suffragio universale.
1897
In Inghilterra, le associazioni suffragiste si organizzano nella “National Union of Women’s
Suffrage”.
1902
Voto alle donne In Australia
1903
Nasce a Manchester la “Women’s Social and Political Union”: il programma è di sostituire “gli esauriti usi missionari”con “l’azione politica “. La fonda Emmiline Pankhurst.
1905
In ottobre, Christabel Pankhurst e Annie Kenney, interrompono a Manchester un comizio di sir Edward Grey e si fanno arrestare. D’ora in poi le donne della WSPU si chiameranno “militant” –
suffragette.
1908
Il 13 giugno, a Londra, tutte le associazioni suffragiste sfilano in corteo fino alla Albert Hall: sono divise per professioni e portano stendardi in cui sono raffigurate Boadicea, Giovanna D’Arco, la regina Elisabetta la grande, Jane Austen e le sorelle Bronte. Otto giorni dopo, mezzo milione di donne manifesta a Hyde Park per il voto.
1909
La suffragetta Wallace – Dunlop, in carcere inizia lo sciopero delle fame e chiede di essere riconosciuta come prigioniera politica.
1910
Venerdì 18 novembre un corteo di suffragette è violentemente attaccato dalla polizia . 115 donne vengono arrestate.
1911
Negli Stati Uniti, il voto alle donne vince per referendum in California. Sono sei gli stati dell’Ovest che l’hanno approvato.
1912
In Inghilterra, il “Conciliation Bill”, proposto già da un anno, è bocciato alla Camera dei comuni per quattordici voti. La NUWSS decide di appoggiare i candidati del Labour, l’unico partito nel cui programma è inserito un progetto di voto alle donne.
1913
Voto alle donne in Norvegia.
L’11 giugno la suffragetta Emily Davison si getta sotto il cavallo del re, durante il Derby. I suoi funerali si trasformeranno in una manifestazione suffragista.
Le donne di Washington manifestano il giorno prima dell’insediamento del presidente Wilson. La leader è la quacchera Alice Paul.
Cominciano le pubblicazioni di “The suffragists”.
1914-15
Il movimento suffragista inglese si spacca sulla guerra. Un gruppo sospende la battaglia per il voto per sostenere la patria in guerra. Un altro gruppo fonda la sezione inglese della “Women’s
International League for Peace and Freedom”, fondata in Olanda.
1915
I parlamenti di Danimarca e Islanda votano il diritto di voto alle donne.
Negli USA una petizione raccoglie 500.000 firme. Per la prima volta il Congresso discute
l’emendamento Anthony.
1917
In Russia dopo la Rivoluzione di febbraio, il governo Kerensky concede il voto alle donne.
Negli USA, il “Women’s Party” organizza picchetti davanti alla Casa Bianca, chiede il voto subito.
1918
In Inghilterra, il 6 febbraio, il Representation of People Act, da il diritto di voto alle donne che abbiano compiuto trent’anni. In novembre approva l’eleggibilità delle donne ai comuni. In dicembre, il primo voto: su diciassette candidate l’unica eletta è la contessa Markiewicz, militante del Sin Fein, in carcere. Non accetterà l’elezione perché gli irlandesi non riconoscono il parlamento Inglese.
Il parlamento del Canada vota il suffragio femminile.
USA, il 10 gennaio la Camera approva il suffragio femminile. Il 30 settembre, per soli due voti, il Senato respinge l’emendamento.
1919
Voto alle donne in Austria, Germania, Olanda e Polonia.
In Inghilterra, Nancy Astor è la prima donna deputata.
La NUWSS si trasforma in Unione di lotta per la “eguale cittadinanza”.
1921
Voto alle donne in Svezia
1928
Le donne inglesi ottengono il diritto di voto alle stesse condizioni degli uomini.