di Domenico Grillone (foto di Antonio Sollazzo) – I suoi cinque minuti e passa di assolo Billy Cobham se li concede sempre. E, a distanza di più di 50 anni dal suo esordio nel mondo della musica con la band del pianista jazz Horace Silver, il leggendario batterista panamense, ormai settantunenne, riesce sempre a sorprendere per la sua grande energia e per le tante emozioni, sempre intense e differenti, che riesce a regalare. Se n’è facilmente accorto il pubblico che, per l’occasione, ha riempito il teatro Cilea nell’ambito della settima edizione di “Reggio In Jazz”, l’evento promosso dall’associazione Naima presieduta da un musicista e cultore del jazz come Peppe Tuffo. Dopo il concerto dell’altro ieri dell’ex enfant prodige Francesco Cafiso, il sassofonista siciliano ormai venticinquenne affermatosi da tempo sulla scena internazionale, è toccato proprio ad uno dei più grandi batteristi jazz-rock di tutti i tempi scaldare il cuore dei tanti appassionati presenti a teatro. Ha detto bene il presidente Tuffo nel presentare il mitico batterista panamense. “E’ più facile affermare che tutti i più grandi musicisti, o quasi, hanno collaborato con lui traendo linfa vitale, anziché perdersi nell’enunciazione di un vasto elenco di collaborazioni in oltre cinquant’anni di attività”. E’ proprio vero, difficile parlare della vita artistica di Billy Cobham proprio perché il suo talento innato l’ha portato a condividere diversi percorsi musicali con alcuni grandi come George Benson, Miles Davis, Stanley Turrentine, i fratelli Brecker, il chitarrista Jhonn Abercrombie, e poi i lunghi anni con la Mahavishnu Orchestra assieme ad un’altra leggenda musicale come John McLaughlin, senza dimenticare le frequenti incursioni nel mondo del rock più genuino grazie alle collaborazioni con i Grateful Dead, Jack Bruce, Carlos Santana e tantissime altre icone della musica degli anni ’60, ’70 fino ai giorni d’oggi. Passa il tempo ma l’energia profusa da Cobham, per l’occasione accompagnato dalla sua band formata da eccellenti musicisti come Jean-Marie Ecoy (chitarre), Steve Hamilton (tastiere), Camelia Ben Naceur (tastiere), Michael Mondesir (basso), rimane quella degli esordi: il celebre batterista, infatti, non si risparmia e la sua gran classe esce fuori fin dal primo brano – Pomegranates – regalando una delle tante chicche di una fusion elegante e raffinata in cui spicca, ovviamente, la possente sezione ritmica.
Il tessuto sonoro di Cobham, quest’ultimo riconosciuto come uno tra i più virtuosi per la sua potenza e tecnica percussiva, riesce a spaziare a trecento sessanta gradi nei nove brani proposti durante il concerto, nell’ambito di una fusion in cui fanno capolino tantissimi altri elementi musicali. D’altronde, per uno come lui che ha attraversato intere generazioni musicali, dagli anni ’60 ad oggi, mantenendosi sempre sulla cresta dell’onda per la sua fervida creatività, diventa un gioco da ragazzi ammaliare un pubblico peraltro composto in prevalenza da una generazione cresciuta all’ombra delle tante leggende musicali di quei tempi. Tanto grande, Cobham, da lasciare molto spazio ai suoi musicisti, pronti ad intessere ritmi e suoni ora delicati, ora più energici, per un mix assai gustoso e pieno di energia ed emozioni. Da “Sal si puedes”, passando per “Crosswinds”, “Insel Inside”, “Stratus”, “Tales from the skeletone”, “Cap breton” e “Red Baron”, per un’ora e mezza circa di musica di grandissima qualità, a dimostrazione che quando c’è stoffa il tempo è solo un particolare di poco conto.