Il Tar di Reggio Calabria ha annullato l'intera graduatoria del "Carpe Diem", il progetto di sostegno all'occupazione giovanile realizzato dall'Amministrazione comunale sotto forma di contributo alle iniziative imprenditoriali di giovani reggini il cui onere sarà sostenuto in gran parte dall'Ente.
Il Tar ha accolto il ricorso di una ragazza estromessa dalle graduatorie.
La notizia – pubblicata per prima da Calabria Ora- assume un peso specifico non indifferente per le motivazioni della
sentenza. "L'amministrazione comunale" – si legge nella sentenza del Tar reggino- "ha in un primo tempo applicato la normativa sulla procedura a graduatoria, provvedendo alla pubblicazione della graduatoria di merito, ma l'ha poi revocata e sostituita con la graduatoria stilata sulla base del mero ordine cronologico di presentazione delle domande".
Questa procedura "anomala" ha indotto l'organo di giustizia amministrativa ad annullare l'intera graduatoria.
Fin qui i fatti.
E però, provando ad allargare gli orizzonti, qualcosa non funziona.
Qualcosa di strano c’è.
Per carità, ciascuno fa il proprio mestiere, ma se da qualche tempo ogni atto dell’Amministrazione comunale finisce sotto la lente d’ingrandimento della magistratura inquirente (procura della repubblica) o giudicante (Tar) qualcosa non va.
L’annullamento del “Carpe diem”, al di là del fisiologico appello che prevedibilmente proporrà l’Amministrazione comunale, è cosa grave.
E’ grave perché adombra – per come scritto in sentenza- uno strano meccanismo di sostituzione delle graduatorie, è grave perché viene dopo le storiacce dei gazebo, del tapis roulant, dopo le voci – facilmente alimentate da oggi in poi- su un’altra graduatoria, quella di “obiettivoccupazione”.
E’ grave, ancora di più, perché tutte queste vicende hanno segnato, fin qui, esiti alterni –ora favorevoli ed ora contrari all’Amministrazione- e, quindi, smontano a priori l’ipotesi di una “regia” che in qualche modo orienti interventi ed indagini.
L’acquisizione di atti a Palazzo San Giorgio è, per carità, cosa legittima e di per sé neutra, ma – vivaddio- unita a tutto il resto, non chiude cerchi di tranquilla e serena vita pubblica amministrativa.
Secondo una chiave di lettura alimenta tesi di complotti politici – almeno da parte di chi segnala alla magistratura alcune situazioni sulle quali poi, necessariamente, gli inquirenti indagano- secondo un'altra, allo stesso modo, getta benzina sul fuoco di chi segnala un'amministrazione disinvolta.
Nell'un caso e nell'altro si tratta di dati che segnalano una vita – quella amministrativa reggina- da tempo inquinata, avvelenata.
Avvelenata nei fatti, negli atti, nelle opinioni, avvelenata da una dietrologia continua, figlia di avvenimenti in serie rispetto ai quali il giudizio – oltre che essere rimesso alla magistratura- è anche sospeso temporalmente sul piano giudiziario, ma travolge tutti, accusanti ed accusati, sotto il profilo etico.
Il sapore che resta in bocca alla gente è amaro, quasi disgustoso. E se, come diceva giorni addietro il direttore di Calabria Ora, Paride Leporace, la politica calabrese corre il serio rischio di finire come la Prima Repubblica, sommersa dalle monetine e dagli insulti delle gente comune fuori da un hotel, la sirena dell’allarme rosso è già suonata da tempo. Anche se più di qualcuno ha scelto, come i marinai di Ulisse, di mettersi i tappi di cera nelle orecchie per continuare a guidare la nave indisturbato