di Stefano Perri – ”Lo dovete tummare? Lo ha detto Salvatore, lo ha detto? Papaianni? Mi dispiace perché è oggi, però stasera me lo gioco a Robertino..”.
Nel primo pomeriggio del 28 maggio 2005 il destino di Roberto Provenzano è già segnato. Gli uomini del clan hanno deciso, lo sgarro va pagato con la morte. A parlare sono Francesco Elia e Gregorio Procopio, due dei sette soggetti coinvolti nell’omicidio del muratore 37enne originario di Maida, in provincia di Catanzaro, ucciso da un colpo di pistola alla tempia la notte tra il 28 e il 29 maggio del 2005 e ritrovato in un lago di sangue da un vicino di casa nel bagno della sua abitazione di Ponte Felcino alle porte di Perugia.
Sei di loro, Giuseppe Affatato (59 anni), Vincenzo Bartolo (49 anni), Francesco Elia (42 anni), Platon Guasi (42 anni), Salvatore Papaianni (40 anni) e Antonio Procopio (46 anni) sono stati tratti in arresto stamani nell’ambito dell’inchiesta condotta dal Ros dei Carabinieri che ha messo le mani sugli affari illeciti della cosca Farao-Marincola di Cirò, operante da tempo sul territorio umbro. L’altro soggetto, il settimo, ritenuto proprio l’esecutore materiale del delitto, è invece da tempo sotto processo, attualmente in attesa della sentenza di Cassazione, proprio per i fatti connessi all’omicidio di Roberto Provenzano.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti Provenzano era uno degli accoliti utilizzati dal clan per la distribuzione della cocaina che giungeva in carichi bimestrali dalla Calabria, occultata nei trolley e caricata nella pancia degli autobus di linea che fanno la spola tra Crotone e Perugia. La sua colpa, pagata con la vita, quella di non aver restituito le somme di denaro incassate con uno dei carichi che gli erano stati affidati.
A decretare definitivamente la sua morte una brevissima riunione di quello che può essere definito il direttorio del clan dei calabresi a Perugia. Poche ore prima dell’omicidio, intorno alle sette di pomeriggio, Salvatore Papaianni e Vincenzo Bartolo raggiungono Gregorio Procopio.
Papaianni: ah compare no no no.. ammazza a questo va..
Bartolo: spara spara
Bartolo: Vogliamo sapere quando hai finito tutto. Procopio: Chiaro!
Papaianni: La pistola la trovi tu
A sparare, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, è proprio Gregorio Procopio, accompagnato sul luogo dell’omicidio dal cugino Antonio Procopio, anche lui arrestato nell’ambito dell’odierna indagine, al quale era stato assegnato il compito di far scomparire l’arma del delitto. Insieme a loro al momento dell’omicidio, secondo la ricostruzione degli inquirenti, anche l’albanese Guasi Platon, chiamato Toni dagli altri sodai del gruppo. A lui si era rivolto Procopio pochi giorni prima dell’omicidio durante una breve telefonata: ”Basta che vieni tu, però. Tu solo vieni, perché se mi dice certe cose mi dispiace spararlo. Ci sei tu, ci sparo, ma se non vieni tu no”.
Ma l’azione criminosa era stata deliberata da tempo dai vertici del clan dei calabresi. A deciderla Salvatore Papaianni e Vicenzo Bartolo, che proprio insieme a Procopio costituivano l’ossatura del clan criminale insediatosi sul territorio perugino. I tre sono considerati dagli inquirenti come i personaggi più carismatici del gruppo dei calabresi dedito al traffico di stupefacenti tra la Calabria e l’Umbria.
E tra i mandanti dell’omicidio, secondo la ricostruzione degli inquirenti, oltre a Francesco Elia che era a conoscenza dell’intenzione del gruppo di fare fuori Provenzano, anche l’altro sodale del clan Giuseppe Affatato. Poche settimane prima dell’omicidio, Affatato era stato convocato a Cirò in Calabria, proprio insieme a Gregorio Procopio, Francesco Elia e Salvatore Papaianni. Il summit programmato dalla locale calabrese del clan doveva servire proprio per risolvere i problemi insorti nella gestione degli affari del narcotraffico in Umbria.
Ed è proprio nell’ambito di tale incontro che sarebbe stata decretata la morte di Roberto Provenzano. Nel codice della ‘ndrangheta, a Cirò come a Perugia, gli affari sono affari. E gli sgarri non possono che essere lavati con il sangue.