di Clara Varano – La crisi che in questi anni ha colpito l’Italia si è trasformata in una vera e propria lente di ingrandimento sui problemi che già affliggevano il nostro Paese.
E tra questi il divario tra territori se non è al primo posto, rischia di raggiungere velocemente l’oro del podio, se si continua così. Da sempre, la Calabria e tutte le regioni del Mezzogiorno, sono state considerate, anzi sono state, la cenerentola d’Italia. Non a caso esiste una questione Meridionale di cui sempre si dibatte. Tralasciando le teorie per cui questa “Questione” sia un falso storico, e le motivazioni che inducono la Calabria ad essere in ogni settore produttivo, economico e chi più ne ha più ne metta, il fanalino di coda dell’intero Stivale, una realtà tangibile, con le dovute e rare eccezioni, esiste: la Calabria rispetto alle regioni del Nord ha un gap da colmare che se non ci si mette d’impegno seriamente, potrebbe non essere più recuperabile.
Ci siamo occupati della disoccupazione e abbiamo visto come la Calabria sia la regione con la più alta percentuale di disoccupati e la più bassa di occupati, il 38%, e che il Meridione pur avendo solo il 27% di occupazione, raggiunga il 60% delle perdite occupazionali causate dalla crisi. Tutto questo, sommato al periodo storico poco felice, al crollo dei mercati e degli investimenti, non fa che rendere più marcato il divario, già evidente, tra Nord e Sud.
E chi paga in questa situazione? I più deboli. O almeno quelli che la società pone all’ultimo gradino della piramide, che tuttavia, se ci si ferma un secondo a riflettere più attentamente, rappresentano il futuro del Paese: i giovani.
La definizione di giovani, nel corso del tempo ha dovuto necessariamente modificarsi. Se prima si era giovani fino ai 25 anni, oggi la fascia di età si è allungata. Si è giovani fino ai 35 anni, tanto che alcune politiche nello stilare bandi di agevolazione per i giovani, ricomprendono “ragazzi” fino a quell’età.
I giovani, quindi, non riescono a farsi strada nel mondo del lavoro in Italia, più in generale, ma nelle regioni del Sud, ancora di più. La recessione, poi, ha aggravato una tendenza che già era in atto, caratterizzata da un numero sempre minore di giovani che riescono ad avere accesso al mercato del lavoro regolare e quindi al sistema delle tutele sociali.
Negli ultimi cinque anni il tasso di occupazione giovanile nel Mezzogiorno è diminuito, in base al rapporto Svimez, dal 35,8% al 30,8%, di cui il 37,9% maschile ed il 23,6% femminile. 5 punti di percentuale allarmanti, per l’ago della bilancia che fa la differenza. E chi ha maggiore difficoltà? Al contrario di quanto si possa immaginare, sono i diplomati ed i laureti, probabilmente per le maggiori aspettative occupazionali, ad avere difficoltà ad accedere al mondo del lavoro. Sommando le percentuali, il Mezzogiorno nel 2012, presenta tassi di occupazione decisamente più contenuti di quelli del resto del Paese. Hanno trovato occupazione nel 2012 il 31,3% di diplomati meridionali e il 48,7% di laureati, rispetto al dato più incoraggiante del Centro-Nord che raggiunge il 56,8% per i diplomati ed il 71,5% per i laureati. E per la disoccupazione giovanile, quella calcolata sui ragazzi tra i 15 ed i 24 anni, il dato non è meno preoccupante. Il tasso calcolato, infatti, è attestato al 51,9% nel Sud, contro un 36,3% al Centro-Nord.
I giovani, dunque, rappresentano, l’area di più acuta sofferenza, questo già da prima della crisi, ma dal 2008 in poi, il peggioramento è diventato drammatico. Si riducono le opportunità di accesso al mercato del lavoro, aumenta la durata della disoccupazione, si allunga il tempo di transizione dalla scuola al lavoro e il Paese è sempre più diviso tra chi può sperare di realizzarsi a casa propria e chi, se la situazione non migliora, può smettere di farlo, sempre che non l’abbia già fatto.
6-Continua