• Chinè: “Le riforme di Renzi riducono gli spazi democratici”

    “Il presidente Renzi irrompe nella stanca scena politica italiana come innovatore e dimostra una carica rivoluzionaria quasi giacobina: il passato va cambiato, le istituzioni tutte vanno modificate, e promette una palingenesi dello Stato e della società. Con una prassi consolidata di tanti autocrati si sceglie i nemici, di solito deboli, e li attacca. Molti italiani lo prendono sul serio e s’illudono che finalmente l’Italia abbia trovato l’uomo giusto per modernizzare il Paese dopo decenni di polemiche inconcludenti tra destra e sinistra. Ha ripetuto più volte che avrebbe cambiato il Titolo V della Costituzione, nella versione voluta dalla sinistra, con un colpo di mano, a maggioranza risicata. Dato che proprio la modifica del Titolo V e successive leggi Bassanini hanno portato l’anarchia negli Enti locali, molti italiani hanno pensato che il presidente Renzi, finalmente, avrebbe varato una nuova disciplina degli Enti locali. Nulla di tutto questo”. Lo afferma in una nota il professore Bruno Chinè, intervenendo sulle riforme varata dall’esecutivo nazionale guidato dal premier Matteo Renzi.
    “Nessuna riduzione dei Comuni o riordino delle Regioni, ma solo – sostiene Chinè – il passaggio di alcune competenza dalle Regioni allo Stato. Il Presidente Renzi ha varato, però, una nuova legge sul lavoro con un nome inglese, ritenendo che gli italiani non siano in grado di capire la lingua di Milton. Dicono che la legge sia stata scritta dalla Confindustria, e solo questa avrebbe avuto vantaggi, mentre i lavoratori hanno visto restringersi solo la sfera dei loro diritti. Una volta rottamati i sindacati e i nemici interni Renzi, novello Donchisciotte, passa alle grandi riforme, quelle che dovrebbero creare finalmente uno Stato più moderno, agile, leggero, efficiente. E che cosa fa? Dice di abolire le Province ma non spiega le ragioni. Ora – aggiunge – sanno tutti che il grande buco nell’economia italiana è stato prodotto dalle Regioni, centri di spesa autonoma e senza controllo. Le venti Regioni oggi sono dei veri Stati: fanno leggi di spesa, si assegnano stipendi, pensioni e vitalizi, come se in qualche misura fossimo tornati allo Stato pre-unitario. Ma Renzi di questo fa finta di non accorgersi. Non gli hanno detto i suoi consulenti economici, e sembra che ne abbia uno stuolo, che i bilanci regionali, in genere, servono solo per mantenere gli apparati politici e amministrativi, ossia le varie caste? Renzi però vuole andare al cuore dei problemi, vuole cambiare la Costituzione, facendo capire che il Paese non decolla perché bloccato dalla una Costituzione vecchia, ed in modo particolare dal bicameralismo perfetto. Ma se il bicameralismo perfetto attuale blocca le riforme, come ha fatto il presidente Renzi ad approvarle? Si pensi alla riforma della Rai, servizio pubblico, messo nelle mani di Palazzo Chigi, ed il conseguente ostracismo ai vecchi direttori di rete. Da una Rai pluralista siamo passati ad una Rai ad una sola dimensione: quella d’inquilino di palazzo Chigi. Renzi – continua la nota – cambia la Costituzione con il voto d’un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale e partorisce un mostriciattolo giuridico. La Camera dei deputati resta ferma a seicentotrenta, mentre quella degli Stati Uniti d’America è di trecento. Il senato non viene abolito ma ridotto di numero, ma i cittadini si sono visti togliere il diritto di scegliere i loro senatori. Chi elegge i senatori se passa la riforma del Governo? Le Regioni, ossia quegli Enti territoriali che hanno distrutto sanità ed ambiente ed hanno prodotto buchi di bilancio insanabili. E le Province sono state abolite? Nemmeno per sogno. E’ stato abolito però il diritto di voto dei cittadini. Ma poi perché abolire le province se queste erogano servizi secondo le leggi dello Stato? L’altro fiore all’occhiello di Renzi è la legge elettorale, l’Italicum, più simile alla legge Acerbo che a moderne leggi elettorali europee. In base a questa legge i deputati vengono quasi tutti nominati dai partiti, come nel porcellum. In sostanza le riforme di Renzi riducono gli spazi democratici. Senatori, deputati, amministratori di province e di città metropolitane scelti da quello che resta dei partiti. Se le riforme di Renzi superano la prova referendaria la sfera della democrazia nel nostro Paese si restringe notevolmente, entreremmo nell’autunno della democrazia rappresentativa. Vogliamo pensare – conclude Chinè – che il popolo italiano col suo buon senso che ha dimostrato in momenti cruciali della storia del nostro Paese, saprà dire no, come ha detto no alla riforma Berlusconi. Se c’è da cambiare la Costituzione si segua la via maestra, quella di un’assemblea costituente”.