Un “viaggio” attraverso le leggi che più hanno inciso sulle tradizioni, sul costume, sulla vita degli italiani è il tema conduttore di una serie di seminari realizzati dai ragazzi e dalle ragazze della Sezione Giovanile dell’Associazione Culturale Anassilaos presso il loro spazio d’incontro di via Lia nel 60° della Costituzione. Una iniziativa che prevede innanzi tutto la lettura dei testi legislativi, di cui spesso molto si parla ma che pochi forse hanno letto, e poi successivi interventi di commento. Testo preso in esame nel corso del primo incontro la Legge 20 febbraio 1958, n° 75 relativa alla “abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui”, meglio conosciuta come Legge Merlin, che cinquanta anni fa, esattamente il 20 settembre del 1958, entrava in vigore a sette mesi dalla sua approvazione avvenuta il 20 febbraio dello stesso anno.
Intervenendo all’incontro Giovanna Melissari, Coordinatrice dei Giovani e Vice Presidente della Sezione Femminile dell’Anassilaos Donna e coordinatrice dei Giovani, ha reso omaggio alla figura della senatrice socialista Lina Merlin (1887/1979), della quale ha evidenziato la passione civile, l’impegno politico e il ruolo svolto sia come costituente, nella stesura della Costituzione (1946/1948), che nel 1948 quale unica donna eletta al Senato. Una donna lontana dalle posizioni oltranziste delle “femministe” degli anni settanta – ha insistito l’esponente dell’Anassilaos – ma bene attenta a perseguire con tenacia e pazienza una serie di iniziative legislative che dessero alla donna pieni diritti nella nuova Italia democratica e repubblicana. A lei vengono infatti attribuite le parole dell’articolo 3 della Carta : “Tutti i cittadini…sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso” e le viene inoltre riconosciuto un ruolo determinante nella stesura dell’art. 40 relativo al diritto di sciopero. Dopo l’approvazione della legge che prende il suo nome e fino al 1963, sempre intervenendo in difesa delle donne e a favore dei più deboli – prosegue la Melissari – ella si adoperò affinchè sugli atti anagrafici dei trovatelli venisse depennata la dicitura “figlio di N.N.“; si impegnò per l’equiparazione dei figli naturali ai figli legittimi in materia fiscale; per l’ eliminazione di ogni disparità di legge tra figli adottivi e figli propri; per la soppressione della “clausola di nubilato” nei contratti di lavoro, che imponeva il licenziamento alle lavoratrici che si sposavano. Bistrattata e ancora oggi non del tutto compresa, forse per quella legge sulla prostituzione che sconvolgeva abitudini inveterate, Lina Merlin si presenta come una figura eccezionale tra le legislatrici della prima fase repubblicana. Sulla Legge (appena 15 brevi articoli) di cui la Merlin è stata prima firmataria e proponente, si è invece soffermato Tito Tropea, Presidente dell’Anassilaos Giovani. Tale provvedimento legislativo, ha egli rilevato, vietando “l’esercizio di case di prostituzione nel territorio dello Stato e nei territori sottoposti all’amministrazione di autorità italiane” (Art. 1) di fatto obbligava alla chiusura, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, di “case, i quartieri e qualsiasi altro luogo chiuso, dove si esercita la prostituzione, dichiarati locali di meretricio” mettendo fine ad una consuetudine che aveva accompagnato generazioni di maschi italiani. Non a caso l’iter della legge fu molto travagliato sia nelle aule parlamentari che nel resto del paese. L’opinione pubblica si divise e persino tra gli intellettuali, pensiamo a Indro Montanelli, non mancò chi difese le case chiuse nel nome, forse, di un forte senso di nostalgia verso la perduta gioventù. In realtà si trattò di una legge civilissima che si propose di eliminare, sul piano del diritto, l’idea che fosse legittimo lo sfruttamento sessuale di una persona (un uomo) su di un’altra persona (una donna). Si disse e si scrisse che la Merlin fosse una visionaria, una moralista ingenua che si proponeva addirittura di eliminare il più antico mestiere del mondo. In realtà la senatrice socialista sapeva bene che il problema prostituzione investiva, e investe tuttora, una serie di problemi sociali, comportamentali, psicologici che rendono ardua ogni iniziativa che si proponga, tout-court, una abolizione del fenomeno. La “sua” legge al contrario non soltanto si proponeva di tutelare le donne impedendone il reclutamento ai fini della prostituzione, l’induzione alla prostituzione, lo sfruttamento (Art. 3), ma quasi le difende da se stesse. E infatti l’art. 5 punisce “le persone” (noi possiamo benissimo leggervi prostitute) che “in luogo pubblico od aperto al pubblico, invitano al libertinaggio in modo scandaloso o molesto”o “che seguono per via le persone, invitandole con atti e parole al libertinaggio”. Di tali “persone” la legge si preoccupa di tutelare la dignità. Non possono infatti essere condotte ad un posto di polizia, se in possesso di un documento di identità, e quelle che vi sono condotte non possono essere sottoposte a visita medica. Tale tutela della dignità della donna, sia pure prostituta, viene ribadita dall’art. 7 nel quale si fa divieto alle autorità di pubblica sicurezza, alle autorità sanitarie e qualsiasi altra autorità amministrativa di “procedere ad alcuna forma diretta od indiretta di registrazione, neanche mediante rilascio di tessere sanitarie, di donne che esercitano o siano sospettate di esercitare la prostituzione, né obbligarle a presentarsi periodicamente ai loro uffici. Si vieta anche
“di munire dette donne di documenti speciali”. Ella si rendeva ben conto che la chiusura delle case di tolleranza non avrebbe eliminato la prostituzione, che peraltro tale legge non proibiva, e che molte delle donne liberate dallo sfruttamento – anche se l’art. 8 della legge prevedeva forme di “rieducazione” e di reinserimento nella vita sociale per tutte le ex che intendessero “di ritornare ad onestà di vita” – avrebbero continuato nel mestiere già prima esercitato. Voleva per esse, pur nel rispetto della legge, un trattamento dignitoso da parte delle autorità. Particolare interesse desta poi l’art. 13 nel quale si pone il problema della costituzione di un “Corpo speciale femminile che gradualmente ed entro i limiti consentiti sostituirà la polizia nelle funzioni inerenti ai servizi del buon costume e della prevenzione della delinquenza minorile e della prostituzione”. Tale corpo non risulta sia mai stato costituito. E’ una fortuna che le forze dell’ordine aprendo i propri ranghi alle donne abbiano reso superfluo l’attuazione di tale articolo. Ci rendiamo ben conto – ha concluso Tropea – che in questi anni il mondo intorno a noi è molto cambiato, forse non in meglio. La Senatrice Merlin non poteva prevedere la tratta delle schiave del sesso provenienti dall’Europa dell’Est e dai paesi dell’America latina e dall’Africa; non immaginava che il fenomeno prostituzione avrebbe investito bambini e bambine nè poteva credere che le nostre città sarebbero state invase da una prostituzione di strada offensiva, per la dignità stessa delle donne, e aggressiva. Ciononostante la Legge che reca il suo nome mantiene e conserva intatto il suo valore e costituisce un dato da cui non si può prescindere per qualsiasi iniziativa legislativa che punti a intervenire in una materia così complessa e scottante.