RIACE, IL PAESE DALLE MARCATE IDENTITÀ, FESTEGGIA I SANTI PATRONI COSMA E DAMIANO
A Riace, in provincia di Reggio Calabria, ricadente nella diocesi di Locri-Gerace, ogni anno dal 25 al 27 settembre, si svolgono i tradizionali Festeggiamenti, storicamente tra i più rinomati del Mezzogiorno d’Italia, in onore dei SS. Cosimo e Damiano, martiri durante la grande e terribile persecuzione dei cristiani ordinata dall’imperatore Diocleziano nel 303 d.C., e medici appellati anàrgiri (cioè senza denaro), perché curavano gratuitamente e solamente per carità cristiana.
In questo centro della Calabria Ionica, divenuto famoso in tutto il mondo, inizialmente, per via della scoperta dei Bronzi di Riace, nell’agosto del 1972 e, successivamente, grazie all’esperienza dell’accoglienza dei profughi extracomunitari sbarcati sui nostri litorali, a circa un miglio di distanza dal recinto urbano, sorge la chiesa-santuario, di fondazione basiliana, intitolata ai due santi medici, fratelli gemelli, che continuano a rappresentare un modello di professionalità, eroismo e cuore generoso per tutti gli operatori sanitari e associazioni di volontariato.
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Presso il Santuario di Riace, retto dal parroco don Giovanni Piscioneri, la pietà popolare si esprime con una ritualità peculiare e diversa rispetto agli altri luoghi di pellegrinaggio. Così, ad esempio, una delle manifestazioni più tipiche di siffatto culto è data dal ballo incessante ed irrefrenabile che le genti di etnia rom compiono davanti alle statue dei Santi patroni portate in processione giorno 26 settembre, dando così vita, nel contempo, al più grande raduno votivo di Rom in Italia.
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Al rito intervengono gruppi delle comunità rom, provenienti da ogni parte della Calabria (da Castrovillari fino a Reggio Calabria), che hanno eletto, da oltre un secolo, i Santi Medici come loro protettori particolari. Tantissimi bambini rom (Bevilacqua, cognome rom più diffuso in Italia, Berlingieri, Amato, Manzo, Amelio), nel corso dei decenni passati, erano nati a Riace nei lunghi giorni trascorsi dalle carovane accampate in occasione della Festa e ad altrettanti di loro era stato imposto il nome di Cosimo o di Damiano; tante unioni matrimoniali si erano formate e tanti lutti consolati, come avviene ancora oggi.
Ogni gruppo danzante ubbidisce ai segnali che provengono dal proprio maestro di ballo che spesso impugna ed abilmente manovra un bastone, con il quale sembra ritmare la musica, mentre le donne non smettono mai di agitare le braccia. L’esecuzione del ballo, riconducibile sostanzialmente alla tarantella romanì, non avviene, tuttavia, con identiche modalità da parte di tutti i festanti, mentre, per quanto attiene agli aspetti più propriamente legati alle espressioni sonore, si registrano diversi musicisti rom che accompagnano le danze con alcuni degli strumenti ritmici tipici della tradizione musicale calabrese, come l’azzarino (cioè il triangolo) usato insieme al tamburello.
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Durante la vigilia del 25 settembre, poi, giorno di particolare suggestione che fa rivivere tutta la storia millenaria del culto dei Santi anàrgiri, i pellegrini, molti giunti a piedi dai paesi delle ex Serre catanzaresi, trascorrono, secondo l’antico rito dell’incubazione, la notte nella stessa chiesa.
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Troviamo, inoltre, in numero elevato, l’offerta di ex voto anatomici in cera, cosiddetti perché riproducono membra e organi risanati (cuore, polmoni, reni, teste e arti) e anche di dolci tipici a base di farina e miele, come nella tradizione greca.
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La concomitante Fiera che ancora si svolge, già ricordata nel XVII secolo quale «nobile e grandioso mercato», si connotava per offrire il primo maiale dell’anno dal quale si ricavavano, nelle baracche erette, quali osterie provvisorie, salsicce, frittole, gambone e gamboncello, gustati con abbondante vino.
Domenico Capponi
Deputazione di Storia patria per la Calabria