di Elda Musmeci – Furono i Saraceni molto probabilmente a importarlo nell’ 827 in Calabria. L’opuntia ficus indica, cioè il fico d’india, è senza dubbio simbolo del Mediterraneo. Se le virtù benefiche sia della pianta che del frutto, erano ben note già agli Aztechi, il Bernini apprezzò talmente tanto la naturale perfezione delle pale e i frutti del fico d’India da immortalarle nella Fontana dei Quattro Fiumi a Roma. Ricchi di sali minerali, di vitamina A e C sono tenuti in gran considerazione per le qualità diuretiche, cicatrizzanti e tonificanti. Tre le principali varietà comunemente distinte in gialla, bianca e rossa detta anche sanguigna e meglio conosciuta come “bastarduni”. Questi doni della natura, rappresentano un vero toccasana generale. Il frutto in particolar modo è un rigenerante cellulare grazie alla presenza di potassio e magnesio, oligo elemento indispensabile al buon funzionamento dell’organismo ed un vero rimedio naturale anti-fatica a anti-stress aumenta le difese immunitarie, agisce in modo benefico sull’umore.
Anticamente veniva utilizzato come alimento prezioso per l’inizio della giornata lavorativa del contadino, soprattutto nella stagione della vendemmia. Era tradizione infatti consumare fichidindia durante la prima colazione: costume che deriva dall’antica usanza del proprietario della vigna che donava senza parsimonia questi dolci frutti ai suoi vendemmiatori per impedire che mangiassero troppa uva durante il raccolto. Recenti ricerche scientifiche hanno addirittura documentato l’efficacia dell’uso delle pale del fico d’india nel trattamento del diabete. Vasta la sua applicazione anche in cosmesi, in quanto viene infatti utilizzato ormai da un paio d’anni, per la produzione di creme, saponi, shampoo, lozioni astringenti per il corpo e ad azione idratante, elasticizzate e soprattutto anti invecchiamento per il viso. Ma il fico d’india è strettamente legato anche alla Sicilia. A testimonianza di ciò, vale la pena citare un aneddoto (riportato nel libro di Barbera e Inglese Ficodindia) secondo il quale Natale Giaggioli, storico fotoreporter palermitano, constatando la propensione dei grandi quotidiani a pubblicare foto di omicidi solo se sullo sfondo si intravedeva un fico d’India, se ne portava sempre uno di cartapesta nel bagagliaio dell’auto, tirandolo fuori quando arrivava sulla scena del delitto.