• Nel cuore di Reggio, dentro la Moschea

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                                       di Gianluca Del Gaiso 

    Ci sono due ingressi. Uno grande con uno scivolo per permettere l’accesso ai diversamente abili. Ai lati è adornato da due palme. Il secondo, accanto, è più piccolo. Sulla destra di questo portoncino in ferro, un cartello giallo con una mezza luna disegnata che invita ad entrare nel “Centro culturale islamico” di Reggio Calabria. A poche decine di metri da Viale Europa, è Assan il nostro “Cicerone per un giorno”. "I due ingressi dividono l’accesso per gli uomini e le donne"

    (il primo), ci dice. Una divisione che all’interno si rispecchia in un separè di legno dai ricchi intarsi, realizzato nella grande stanza della preghiera. Il motivo è semplice. “Quando si prega si è in contatto diretto col divino”. È importante non avere alcuna forma di distrazione. Come conferma la presenza dei “sutra”. Sono delle piccole tavolette di legno, alte circa 30cm, che ciascun fedele pone davanti a sé durante i momenti di preghiera. Per non essere disturbato. Perché nessuno passi davanti a lui mentre il suo spirito si rivolge verso La Mecca, assorto in preghiera. Nelle sue richieste a Dio.

    moschea2bisEntrando, la prima cosa che notiamo è la presenza di un lungo lavatoio sulla sinistra. Serve per il rito della “tayamon”, la purificazione, ci spiega Assan. Prima di avvicinarsi al cuore del luogo di culto, ciascun fedele che non ha avuto modo o tempo di farlo a casa, si lava con acqua calda le mani e i piedi. Sciacquarsi il viso è l’ultima fase di questo rito preparatorio. Per chi sta male o comunque per qualche motivo è impossibilitato a toccare troppo l’acqua, dentro ci sono le pietre di pomice. Strofinarle tra le mani è l’equivalente del rito purificatorio classico. E’ un po’ quello che un tempo era la sabbia del deserto per i viaggiatori, ci spiega.

     

    moschea3bisAnche noi – qui è la regola – ci togliamo le scarpe prima di entrare all’interno della grande sala di preghiera. È grande. Molto. Coperta di tanti tappeti dai colori diversi. Uno sull’altro a formare quasi un secondo morbido e caldo pavimento. Al centro, primeggia su tutto, quella che è la sedia dell’Imam. È lui che scandisce i tempi e i modi del rito di preghiera. Accanto, sempre in legno, il simbolo de “La Mecca”. Con una grande scritta in arabo “Allah Akbar”. Cioè, “Dio è grande”. Poco lontano, ci sono gli orari della preghiera. Il giorno è il venerdì, da mezzogiorno alle 13:00. I minuti variano a seconda del sole e quindi delle stagioni e del periodo dell’anno. Anche la Moschea di Reggio come quella di Roma e Milano è collegata ad un centro che fornisce su calcoli ben precisi i dati.

     

    moschea4bisQui si raccolgono circa 200 fedeli in preghiera ogni venerdì, anche se la comunità islamica conta almeno 2mila persone nella sola città di Reggio. Ciascuno di loro, ci spiega il nostro “Cicerone”, ha contribuito alla realizzazione della Moschea. Assan ride quando la chiamiamo così. “Decisamente troppo piccola per essere considerata una vera Moschea. Di solito sono almeno tre volte tanto. Questa potrebbe essere considerata piuttosto una di quelle aree, di quei giardini, che si trovano attorno alle moschee. Per noi infatti è un centro culturale”. Già. Qui per un periodo era stato istituito anche una sorta di doposcuola per i bambini. Poi le strutture, forse troppo piccole, hanno fatto mettere da parte l’idea, che però resta in cantiere per un domani.

     

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    Oggi il Centro, nato nemmeno un anno fa, vive di finanziamenti propri dei fedeli che la frequentano. “Ciascuno nella misura in cui può”. Nessuna sovvenzione da enti o simili. “Era un deposito abbandonato che abbiamo rimesso a nuovo”. L’affitto è di poco superiore ai mille euro al mese, cui si vanno ad aggiungere quei circa 500 di luce, acqua e simili. All’interno tutto rispecchia l’architettura e gli arredamenti dei paesi d’origine del culto. “Tutto fatto volontariamente”. Ognuno ha portato del suo. Chi ha messo i tappeti. Chi i libri di preghiera in fondo alla sala. Chi ha sistemato le pareti con le tende bianche. “Una mattina, al posto del muro abbiamo trovato questa parete di legno, molto più bella. Nessuno ha detto niente. Funziona così. Ciascuno porta del suo”. Fa parte del culto. Un semplice “mattone” per il tempio, come lo chiama Assan, “messo di nascosto all’occhio dell’uomo ma non di Dio”.

                                                                                                          

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