Massimo Giovannini sorride.
I riccioli ormai ingrigiti gli regalano quell’alone necessario per sopportare il peso della carica di Magnifico Rettore dell’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria.
Romano, sessantadue anni – ben portati al pari dell’inseparabile “girocollo” sotto la giacca – dei quali oltre 35 vissuti a contatto stretto, quasi osmotico, con la città di Reggio.
A soli 23 anni, a Firenze, studente di architettura, conosce un collega e guadagna un amico, Mario Spinella, reggino, che solcherà tutta la sua vita.
Questi lo spinge a Reggio, per cominciare da qui un percorso che li avrebbe portati nel cuore delle radici architettoniche del Mediterraneo.
E’ il ’68, sono anni inquieti, il respiro della libertà soffia forte alle spalle di giovani aspiranti architetti ed in questo caso va a braccetto con il richiamo della storia.
“Era il 5 o il 6 agosto del 1968” – ricorda Giovannini – “ arrivai a Reggio con il treno, di sera. Era un incanto! Scesi alla stazione succursale, a piazza Indipendenza, lo specchio di mare sembrava un lago colorato, di fronte ricordo le luci del circolo del tennis; il profumo di zagara si spandeva ovunque. Da quel giorno restai folgorato da Reggio”.
E, come spesso accade, il caso ci mette del suo; l’automobile di Mario, con la quale sarebbero dovuti partire all’avventura, si è appena guastata. Massimo Giovannini resta a Reggio per quasi un mese e si innamora. Di Reggio e di una donna, che poi diventerà la sua prima moglie.
Da allora in poi è sempre più spesso sulla sponda orientale dello Stretto. Arriva il 1970, e con esso la laurea; intanto a Reggio cresce un germoglio, una sorta di fiore nel deserto: l’istituto di architettura del quale Giovannini fa parte quasi subito iniziando un percorso che lo porterà ad essere docente associato nel 1987, ordinario nel 1994, Preside di Architettura nel 2002 e Rettore nel 2006.
Intanto Reggio è cambiata tanto e, soprattutto, l’Università è cresciuta, è diventata un punto di riferimento per l’intera città.
La novità evidente emersa negli ultimi tornanti della storia cittadina consiste in un nuovo rapporto che si instaura sempre più, giorno dopo giorno, tra Reggio ed il suo Ateneo: “E’ tempo di rimettere al centro di ogni discorso il territorio” – spiega il Rettore – “perché il territorio è il vero punto di contatto, sotto forma di obiettivi, di bisogni, tra tutti gli attori che vi operano. L’Università sta all’interno della città e l’una vive dell’altra. Proprio nell’ottica di un rispetto massimo per il territorio trovo che l’Ateneo abbia un obbligo morale, e cioè quello di perseguire l’innalzamento culturale. La cultura non ha colore politico e bisogna assolutamente evitare che gli Enti, l’Ateneo o qualunque altro riferimento culturale o di sviluppo, si arrocchino su posizioni rigide senza dialogare. Il rischio, in questo caso, è che ciascuno operi in maniera autoreferenziale, perdendo di vista la distinzione tra strumento e fine. Se la diffusione della cultura coincide con l’innalzamento culturale delle persone, esso va perseguito comunque, perché coincide con l’innalzamento etico e può anche produrre sviluppo”.
Ma in un recente passato la sensazione è stata quella di un Ateneo arroccato, ritirato sul suo colle, in posizione quasi snobistica rispetto agli attori istituzionali del territorio: “No, no” – scuote la testa Giovannini – “da parte nostra non c’è e non c’è mai stato alcun atteggiamento di questo genere. Noi guardiamo con grande rispetto la politica perché vogliamo far parte integrante del processo di sviluppo. La chiave è irrinunciabile: senza l’unione tra politica, capitali e cultura non si va da nessuna parte. Io amo sottolineare che all’interno della cittadella universitaria si fa e si deve fare ricerca e didattica di qualità, ma questa sorta di ponte levatoio deve poi abbassarsi sul territorio, non può restare fine a sé stesso. Il trasferimento tecnologico è un esempio lampante di tutto ciò”.
E per uno che ha visto svilupparsi sotto i suoi occhi (e da un osservatorio nettamente privilegiato) gli anni più difficili dell’era postmoderna di Reggio, le vie di crescita della città devono essere ben chiare: “Reggio dovrebbe smettere di guardare solo verso l’alto sentendosi ultimo vagone dell’Europa per cominciare a guardare anche dietro di sé, verso il Mediterraneo, del quale, invece, rappresenta il centro. I progetti, però, devono necessariamente essere ambiziosi; bisogna sempre spostare un po’ più in là l’asticella, senza paura, bisogna che, però, tutti ci si muova nella stessa direzione, senza distrarsi dall’obiettivo. Reggio può diventare un polo culturale se, ad esempio, accanto all’iniziativa della Biennale di Architettura che organizzeremo con il Comune di Reggio ne metteremo in piedi delle altre, creando un percorso di appetibilità culturale che necessariamente dovrà fare sistema con l’area dello Stretto, un concetto da rilanciare ed implementare, e che goda di un adeguato battage, altrimenti sarà tutto inutile. L’esempio dei bronzi di Riace è significativo ed emblematico in negativo. Anche il percorso voluto dal Sindaco Scopelliti,che pure apprezzo per la sua pervicacia e per le sue mille iniziative, quello della città turistica non è facile da perseguire. Della città culturale un conto è parlarne a Mantova, a Parma, a Ravenna, luoghi colmi di testimonianze storiche e tangibili, altro è farlo qui.
La Reggio attuale è una città interamente ricostruita meno di un secolo fa, non porta con sè nulla del suo passato, pur antico e prestigioso. Reggio è una città giovane con una memoria antica che, quindi, su scala nazionale, non ha molto “appeal”. Bisogna lavorare duro per crearlo, nel tempo.
Per fare ciò è indispensabile fare sistema, in maniera costante, forte, radicata. Non ci può interessare la chioma dell’albero, pur se rappresenta la parte più visibile “prima facie”; dobbiamo puntare alle radici tenendo presente che gli strumenti tecnologici e telematici ci portano sempre più velocemente lontano, fino a rendere molto diverso il concetto di città…”
La chiacchierata formale termina, ne segue una fuori dalle righe ugualmente interessante, tra un commento sulla vicenda-Ratzinger ( “trovo che non abbia senso invitare il Papa, un Capo di Stato e tenere una lectio magistralis, ma se lo si fa poi bisogna consentirgli di tenerla” ) ed una spiegazione fortemente didascalica per una foto di quando Reggio profumava di zagara.
Di quando tutto era da fare.