Francesco Mollace sorride.
Sorride a metà tra il sornione e l’amaro e, come dice un vecchio adagio, è come il monaco che corre e che “sa i fatti propri”.
Certo nell’ultima operazione condotta dalla DDA reggina e che ha portato a decine di arresti nell’ambito delle ricostruzione di alcune fasi della guerra di mafia lontana
ormai un ventennio, la mano di Mollace (nella foto di Franco Cufari) si coglie pienamente, non foss’altro che nelle interminabili pagine di interrogatorio del collaboratore Iannò, condotto proprio da lui.
Condotto quasi 5 anni fa, però.
Ed allora, alla luce di una “stasi” degli sviluppi di questa indagine, successiva all’esautorazione di Mollace dalla gestione del collaboratore, qualche domanda sorge spontanea, soprattutto in ordine alle conseguenze di questo “congelamento”; come la super-ritardata emissione delle ordinanze di custodia cautelare per gravissimi fatti di sangue o, peggio, l’automatica improcedibilità per una serie di fatti-reato scaturiti da indicazioni del collaboratore ormai datate ben oltre il tempo massimo fissato dalla legge per il loro utilizzo o, peggio del peggio, una serie di fatti finalmente acclarati nella loro dinamica, grazie alle nuove indicazioni fornite da Iannò, ma improcedibili perché, nel frattempo, per gli stessi fatti, verso i medesimi imputati è già intervenuta sentenza irrevocabile.
Ecco che, allora, il sorriso del sostituto procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Francesco Mollace, diventa più amaro che sornione, anche se prelude ad una chiusura a riccio inespugnabile quasi quanto la difesa della “sua” grande Inter di Herrera:
“Si tratta di vicende portate all’attenzione del CSM da tempo e che appartengono ad una delle facce più oscure della storia recente della Procura reggina, e sulle quali, per ovvi motivi, non intendo né tornare, né soffermarmi”
Il coordinatore della DDA, Boemi, unitamente al reggente della Procura, Scuderi, ha sottolineato, a più riprese, il ritorno del lavoro di gruppo e della voglia di lavorare assieme, in Procura
“E’ un’affermazione che va analizzata attentamente. Boemi, certamente, ha fatto tornare un’aria positiva, ma la positività di oggi, evidentemente, per essere riscontrata e sottolineata deve fare il paio con la negatività di ieri. Se una cosa torna, vuol dire che prima si era smarrita ed anche questo aspetto deve essere passato al vaglio del CSM. Personalmente la voglia di lavorare in pool non l’ho mai persa, fin dai tempi del pool con Pennisi, Cisterna e Verzura che produsse fior di risultati. Anche oggi, però, sulla base delle deleghe conferitemi da Boemi, lavoro, ad esempio, in grande sintonia con i colleghi De Bernardo, Galletta e Lombardo”
Ma questo improvviso ritorno di attenzione verso l’analisi della guerra di ‘ndrangheta attraverso le dichiarazioni dei collaboratori come va letto?
“Personalmente pensavo – e penso ancora- che dai contributi congiunti dei collaboratori Iannò, Munaò e Fiume potessero ottenersi risultati ancora superiori rispetto a quelli storici di Lauro-Barreca prima e Scopelliti-Lombardo poi. Tuttavia non posso non rilevare che tornare ad occuparsi solo della guerra di mafia a distanza di oltre 20 anni possa apparire stucchevole. Credo e mi auguro che il contributo di Iannò possa essere utilizzato anche per orientare le indagini verso un filone nuovo, quello della ricostruzione degli equilibri di criminalità organizzata dal 91 in poi, dopo la pax, o la tregua, come la chiama Boemi. Sono certo, tuttavia, che questi aspetti e, quindi, la loro visualizzazione siano già all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria.”
Locrideo di Casignana fino al midollo, da come ti scruta alle pause che si prende prima di rispondere, Mollace ha alle spalle 27 anni, ormai, da sostituto procuratore, a Cosenza prima ed a Reggio poi, e ciò gli è sufficiente per tracciare un quadro piuttosto definito della ‘ndrangheta. Soprattutto per ciò che concerne i suoi quadri organizzativi, relativamente ai quali l’idea di una struttura sovraordinata, verticistica, magari solo per le decisioni più importanti, Mollace non l’ha mai abbandonata. La cosiddetta “Cosa nuova”, ipotizzata per la prima volta nel processo “Olimpia”, ma non adottata, come tesi, da quei Giudici:
“Ecco, non adottata, direi, certamente non smentita. Perché un conto è dire che il processo ha smentito l’indagine, altro è dire che le prove non sono sufficienti per supportare la tesi proposta. Ma per comprendere realmente i fenomeni della ‘ndrangheta è necessario tenere ben presente che essa muta pelle in continuazione. La sua grande capacità consiste nel seguire il corso degli eventi, non inseguirlo, nell’inserirsi nelle dinamiche, non nel cambiarle. E’ proprio grazie a questa capacità di porsi in modo camaleontico che la ‘ndrangheta riesce nel suo intento primario, direttamente connesso allo spirito dell’organizzazione: vivere in modo parassitario, ‘tu lavori ed io ci vivo sopra’ . Anche la logica del traffico degli stupefacenti è certamente legata alla ‘ndrangheta, ma in modo moderno; da sei o sette anni la ‘ndrangheta storica ha commissionato il traffico di stupefacenti a delle vere e proprie società di servizi del crimine, per lo più straniere. Cinesi, albanesi, marocchini, gli stessi colombiani operano e versano parte dei proventi.”
Ed allora gli affari veri dove sono?
“La vera ‘ndrangheta fa affari mimetizzati nei settori decisivi, vitali per l’economia territoriale. Si inserisce in tutti i mercati che sono moltiplicatori di ricchezza, ricerca continuamente fonti moltiplicatrici di guadagni, si pensi ai giganteschi investimenti immobiliari, agli investimenti in borsa. D’altra parte intorno a noi è pieno di gente straordinariamente ricca, e questo è un fatto, al pari dell’indimostrabilità della provenienza lecita di tali fortune. Lo ripeto, bisogna individuare i moltiplicatori di ricchezza e percorrere il cammino a ritroso”