di Anna Foti – Annamaria mangiava sempre sulle sue ginocchia mentre Salvatore Maurizio ogni pomeriggio andava in officina per aiutarlo, con il suo piccolo panno puliva pezzi meccanici ed era per lui un appuntamento a cui teneva moltissimo, al quale non rinunciava mai. Tranne quel pomeriggio, in cui ci andò più tardi perchè aveva tanti compiti da fare. E se ci fosse andato, se fosse stato lì anche lui, quella tragedia sarebbe stata ancora più grande. Francesco Giorgino era un padre affettuoso e presente, un marito di cui tessere le lodi non risulta, ancora oggi, affatto difficile. Sarà per questo che Domenica Diano, vedova da vent’anni, si commuove continuamente, mentre generosamente racconta la sua quotidianità sconvolta da alcuni colpi di pistola calibro 7.65 esplosi contro suo marito nel pomeriggio del 21 febbraio 1996 mentre riparava un’auto dentro la sua officina a Lazzaro. Era pugliese, originario di Cerignola in provincia di Foggia e aveva quaranta anni di cui gli ultimi quindici vissuti in Calabria, terra di cui amava il mare e che lo aveva accolto quando, dopo avere conosciuto a Milano Domenica, se ne era innamorato al punto da seguirla fino a qui e con lei farsi una famiglia. Un terra che amava, dove lui arrivò per seguire il suo cuore e dove andò incontro ad una morte assurda, ad un destino avverso.
Per la famiglia la sua morte è una ferita sempre aperta nel petto, lì dove il Francesco fu colpito a morte. Era stato già trafitto alle spalle da alcuni proiettili, prima di essere girato con il piede e colpito mortalmente al petto. Come spesso accadeva Domenica stava andando in officina a trovare il marito. Quel pomeriggio con lei non c’era solo Annamaria ma anche Salvatore Maurizio. Erano da poco trascorse le ore 18 quando in prossimità dell’officina, notarono confusione. “I miei bambini videro il padre a terra che ancora tremava. Da lì a qualche istante avrebbe esalato l’ultimo respiro. Mio figlio di soli dodici anni credeva che si fosse trattato di un corto circuito e si precipitò a spegnere la corrente, mia figlia Annamaria, di soli nove anni, rimase con lo sguardo fisso sul padre rapita dal modo in cui lui stesse guardando il cielo. Io capì e mi gettai su di lui che poggiare le mie labbra sulle sue. Non dimenticherò mai quel momento”, racconta Domenica ancora colta da una nostalgia che le rende gli occhi lucidi, che le spezza il cuore in frantumi. In pochi minuti per un litro d’olio non consegnato al boss del momento, Giovanni Scappatura, che abitava a qualche centinaio di metri rispetto all’officina, la sua vita è stata stravolta per sempre.
Quel litro d’olio Francesco Giorgino non lo aveva. Ma non contava questo. Contava l’affronto al boss della zona. Scappatura indignato per il rifiuto, impugnò la pistola e andò personalmente ad affermare la sua autorità e a riscattare l’offesa subita con la violenza, spargendo sangue. A nulla servirono i tentativi del suo aiutante, Vincenzo Benedetto, che venne scaraventato contro i cassonetti e che una settimana dopo, nonostante le minacce subite per non farlo, fornì gli elementi per ricostruire la vicenda; anche la sua vita è cambiata e oggi vive lontano, forse in un altro continente. Giovanni Scappatura, per altro sorvegliato speciale, stava lavorando con una motosega presso la sua abitazione, in prossimità dell’officina, quando si rese necessario un po’ di olio per lubrificarla. Mandò Benedetto per due volte a chiederla a Francesco Giorgino che però, non avendola, non poté soddisfare la sua richiesta. Un rifiuto obbligato che però costò la vita allo stesso Giorgino. “Ma cosa sorvegliavano – si chiede ancora dopo venti anni Domenica – se quest’uomo è stato libero di prendere in casa una pistola e andare a sparare indisturbato a pochi metri da casa sua; se poi sempre indisturbato ha lasciato il luogo del delitto, si è liberato della pistola, continuando a possedere un fucile in casa. Se ancora, dopo il fatto di sangue, prima dell’emissione del fermo, ci impauriva con appostamenti e telefonate di notte”. Nonostante si conosca l’identità del colpevole in questa vicenda di dolore e violenza, la storia di Francesco Giorgino, dallo scorso anno tra i nomi da non dimenticare di Libera, non riserva un epilogo giudiziario compiuto. Il responsabile è infatti ancora oggi latitante e con lui anche la madre, Angelina Iaria, che ne avrebbe favorito la fuga e la latitanza. Solo nel 2010 è stato arrestato il pescatore Marco Bruno De Salvo, con l’accusa di avere favorito queste latitanze, gestendo il conto corrente della madre, anche lei datasi alla clandestinità con il figlio, ad oggi condannato all’ergastolo ma tra i cento latitanti più pericolosi d’Italia.
Nessuna giustizia, dunque, e invece da quel giorno, per questa famiglia così duramente colpita, solitudine, senso di abbandono, difficoltà, rinunce, ristrettezze economiche. La presenza ingombrante di un vuoto dentro il cuore e dentro quella casa che non sarebbe mai stato colmato. Ad alleviare questa condizione non lo Stato, che non ha riconosciuto Francesco Giorgino vittima del crimine organizzato di stampo mafioso, ma persone che sono state vicine a Domenica e ai suoi figli. “Ringrazio di cuore la guida della parrocchia della Madonna della Grazie di Lazzaro, attuale direttore della Caritas, don Nino Pangallo, che ogni sera veniva a trovarci, Angela Vacalebre che a lungo ha pagato bus e mensa per i miei figli, le insegnanti Gianna Verduci e Carmelina Albano, le mie amiche Giulia Iracà e Rosetta Romano, Stefania Gurnari e gli altri volontari di Libera molto presenti e che nel giorno del ventesimo anniversario hanno curato un ricordo di mio marito durante la messa officiata a Lazzaro da don Mimmo Cartella, alla quale ha voluto essere presente anche il sindaco di Motta San Giovanni, Paolo Laganà”.
Anni difficili, carichi di dolore durante i quali il ricordo di Francesco, padre e marito premuroso, è rimasto sempre vivo negli occhi chiari e luminosi, ereditati dal padre, di Annamaria, in quel gesto di estrema tenerezza che compiva Salvatore Maurizio quando indossava gli abiti del padre, metteva il suo profumo e si avvinava alla madre per combattere contro quell’assenza così prematura, feroce e ingiusta.
Tanti i sacrifici compiuti da Domenica che ha fatto tanti lavori fino a poco tempo fa; poi per lei è cominciata un’altra lotta, quella per sopravvivere al più terribile dei mali. Vive con la pensione del marito e con questa in questi venti anni è andata avanti. I suoi figli si sono diplomati e si sono sposati, ma sono state tante le rinunce. Annamaria vive a Reggio con il marito Antonino e Salvatore Maurizio a Lazzaro con la moglie Francesca; qui fa l’autotrasportatore e continua a scrivere lettere al padre perché quegli otto anni in cui l’ha avuto nella sua vita evidentemente sono stati troppo pochi. Annamaria cerca un lavoro dopo essere cresciuta senza padre, come suo fratello, e dopo aver rinunciato al sogno di danzare. “I suoi occhi sono tristi”, dice mamma Domenica. Conserva come la cosa più sacra, in una busta, alcune lire ancora sporche di sangue che il padre aveva in tasca quando è stato ucciso. Le conserva come Domenica conserva la tuta da lavoro che il marito indossava quel giorno in cui la loro vita cambiò per sempre. Come se quelle ‘cose’, le ultime che Francesco Giorgino ebbe con sé, potessero avere il dono, in qualche modo, di farlo rimanere più vicino.