di Anna Foti – Furono giorni di grande fermento quelli di 45 anni fa quando la città fu in rivolta contro la scelta di istituire a Catanzaro – antica provincia della Calabria Ulteriore Seconda e comprendente fino al 1992 anche i territorio di Vibo Valentia e Crotone – il capoluogo della regione. Sindaco quasi alla fine del suo mandato fu Pietro Battaglia a cui si deve il celebre discorso alla città in piazza Duomo il 5 luglio del 1970 – nove giorni prima dell’insurrezione – e una ferma opposizione al suo partito di appartenenza, la Democrazia cristiana allora al governo nazionale, per la scelta operata contro la sua Reggio. Tra le conquiste più importanti vi fu quella che oggi rappresenta una assoluta peculiarità nel panorama italiano, allora segnato anche dalla tardiva (la Costituzione era in vigore già da 22 anni) istituzione delle Regioni, ossia la collocazione delle sede del Consiglio regionale (Reggio Calabria) in città diversa da quella capoluogo (Catanzaro) dove avrebbe avuto sede la Giunta.
Esponente dell’associazionismo cattolico e poi della Democrazia cristiana, Pietro Battaglia fu ancora sindaco di Reggio, anche se per poco. Fu consigliere e assessore regionale e deputato. Il suo impegno a difesa della città di Reggio è ancora oggi universalmente riconosciuto e ricordato al punto che proprio lo scorso 20 aprile, undicesimo anniversario della sua scomparsa, il consiglio comunale di Reggio ha deliberato all’unanimità l’intitolazione dell’aula consiliare di palazzo San Giorgio alla sua memoria. Un tributo dovuto che anche il figlio, Mimmo Battaglia, oggi consigliere regionale e quel giorno presente in aula, ebbe modo di apprezzare con profonda commozione.
Tra i promotori del Decreto Reggio da parlamentare, nel 1992 Battaglia fu travolto da una bufera giudiziaria relativa alla sua presunta appartenenza ad un comitato di affari. Trascorse 13 mesi in carcere prima che le accuse contro di lui fossero completamente destituite di ogni fondamento.
La giornata del 14 luglio, in cui vi fu l’insurrezione, in cui lo stesso sindaco Battaglia tenne un discorso in piazza Italia affiancato dal consigliere comunale del Movimento Sociale Italiano Fortunato Aloi, è la giornata delle commemorazioni, del ricordo dei scioperi, delle contestazioni, delle barricate sul Corso, sulla via marina, in via Pio XI, al rione Sbarre, in via I Agosto, nel quartiere di Santa Caterina. Il ricordo della sommossa, delle cariche della polizia, degli arresti.
Istituito un comitato con questa data nel nome, anche quest’anno è stata posta una corona di fiori, al monumento ‘Reggio70’ sul lungomare reggino, per ricordare le cinque vittime di quella rivolta: il ferroviere quarantaseienne Bruno Labate, il quarantacinquenne autista di autobus Angelo Campanella, il poliziotto quarantasettenne Vincenzo Curigliano colto da infarto durante l’assalto alla questura, il diciannovenne agente di pubblica sicurezza Antonio Bellotti, il barista venticinquenne Carmelo Iaconis.
Componente del comitato ‘14 luglio’, tra gli altri, anche Antonio Franco, nipote del senatore Ciccio Franco, anche lui protagonista di questa pagina storica a cui dal 2006 è intitolata l’arena dello Stretto sul lungomare Falcomatà. Sindacalista della Cisnal, esponente missino che rilanciò il motto fascista “Boia chi molla”, noto come il capo del rione Sbarre, fu promotore del ‘comitato d’azione per Reggio capoluogo’ che si formò il 22 luglio del 1970 e che tenne un partecipato comizio il successivo 30 luglio in piazza Italia. Fu accusato di istigazione a delinquere e apologia di reato, arrestato, rimesso in libertà e poi ancora ricercato e per un breve periodo latitante. Durante questo lasso di tempo fu intervistato da Oriana Fallaci per il settimanale l’Europeo. A lei disse: “Molti, oggi, fanno i fascisti semplicemente perché ritengono che la battaglia di Reggio sia interpretata in modo fedele solo dai fascisti”.
Furono giorni di fuoco quelli delle barricate, quelli dello scippo, del torto per antonomasia che la città di Reggio subì e che neppure il fallimentare pacchetto Colombo (liquichimica di Saline Jonicre il quinto centro siderurgico di Gioia Tauro), riservato dal Governo come forma di compensazione, riuscì a riparare. Sono i tempi degli anarchici della Baracca in cui maturarono la strage di Gioia Tauro del 22 luglio 1970 e l’incidente mortale del 26 settembre successivo.
Il Treno del Sole che trasportava, in diciotto carrozze, duecento persone da Palermo a Torino, improvvisamente frenò. Era il 22 luglio 1970. Persero la vita sei persone e oltre settanta rimasero ferite. Alcuni talmente gravemente di riportare invalidità. La frenata fu conseguenza di un sobbalzo avvertito tra il cavalcavia delle Ferrovie Calabro Lucane e il gruppo di scambi all’ingresso in stazione di Gioia Tauro. Meno di due mesi dopo, erano da poco trascorse le ore 23 del 26 settembre del 1970. Chilometro 58 dell’autostrada A1 Napoli-Roma. Cinque giovani erano diretti da Vibo Valentia a Roma, su una mini minor gialla. Un impatto contro un autotreno è fatale per tutti. Angelo Casile, 20 anni, Franco Scordo, 18 anni, Luigi Lo Celso, 26 anni, e Gianni Aricò, 22 anni, tutti calabresi e tutti anarchici, e poi la moglie di Gianni, Annalise Borth, 18 anni, incinta di due mesi e tedesca. E’ un incidente mortale misterioso come la scomparsa di quei documenti, evidentemente troppo importanti, sulla rivolta di Reggio e sul deragliamento del treno a Gioia Tauro.
Sono tempi in cui la storia dell’Italia e dei suoi misteri fu scritta anche a Reggio.