di Anna Foti – Bloccare cantieri mentre l’abusivismo edilizio imperversa e sanzionare un divieto di transito mentre in tanti si sentono padroni della città, sprezzanti della legge e delle regole fondanti del vivere civile. Questi possono diventare atti eroici, dirompenti al punto da esporre chi li compie, senza le istituzioni e la società civile compatte al loro fianco, ad un destino violento di morte, di impunità e poi anche di oblio.
Almeno rispetto questa seconda morte, altrettanto imperdonabile e colpevole per tutti, nessuno escluso, bisogna rimediare con il massimo impegno e senza indugiare oltre.
Proprio domani alle ore 11, presso il comando della Polizia municipale di Reggio Calabria guidato da Domenico Crupi, comandante, e Luigi Nigero, vice comandante avrà luogo la cerimonia di intitolazione ai vigili urbani Giuseppe Macheda e Giuseppe Marino, assassinati per avere compiuto il loro dovere e avere disdegnato il compromesso. L’apposita delibera è stata firmata nel mese di settembre dal prefetto, commissario del comune di Reggio Calabria, Gaetano Chiusolo. Si trattava di un impegno assunto in occasione della piantagione dell’albero di alloro in piazza Castello nell’ambito della campagna di Libera e Stop ndrangheta, sostenuta da familiari e colleghi, e intitolata “Il ricordo lascia il segno”. La campagna era stata avviata alcuni mesi prima con una nuova raccolta di firme e quella di domani sarà un’occasione per ricordare e seminare una nuova speranza di cambiamento.
L’arcivescovo Giuseppe Fiorini Morosini procederà con la benedizione alla presenza della massime autorità locali tra cui il procuratore capo della Repubblica Federico Cafiero De Raho, il prefetto Gaetano Chiusolo, l’assessore alla Cultura e alla Legalità, Eduardo Lamberti Castronuovo, già assessore comunale alla Polizia Municipale. Presenti la famiglia del compianto colonnello Cosimo Fazio e una delegazione delle scuole della zona. Invitati anche i comandi di polizia municipale delle altre quattro province calabresi.
Giuseppe Macheda, agente della Polizia municipale assegnato alla squadra antiabusivismo, è stato ucciso a Reggio il 28 febbraio 1985 lasciando la moglie Domenica Zema in attesa di un maschietto, suo omonimo Giuseppe Macheda.
Giuseppe Marino, agente della polizia municipale in squadra, è stato ucciso nei pressi della villa comunale per una multa di troppo la sera del 16 aprile 1993. Aveva quarantatre anni e ha lasciato moglie e due figli. Quella sera rimase ferito anche il suo collega, Orazio Palamara.
Entrambi sono stati riconosciuti vittime del dovere ed il loro nome è inciso, tra quelli dei vigili d’Italia caduti nell’adempimento del dovere, sul monumento eretto a Palmi, in provincia di Reggio Calabria.
Altro collega di lavoro e amico, era l’attuale ispettore Domenico Porcino, allora brigadiere, impegnato da sempre in prima linea contro l’oblio e la dimenticanza al punto da essersi fatto promotore di una petizione (la prima), rimasta allora senza seguito concreto e finalizzata proprio all’intitolazione della caserma ai colleghi uccisi nell’adempimento del loro dovere. Un obiettivo finalmente raggiunto, nonostante i ritardi, che commuove e rende onore ai due uomini che non ci sono più, alle loro famiglie, al loro servizio reso ad una comunità che troppo spesso dimentica senza neppure conoscere e che deve invece riappropriarsi della sua memoria.
Libera Memoria di Reggio, gruppo di familiari e volontari impegnato nella riscoperta delle storie di vittime innocenti dimenticate, propone di sostenere questa battaglia di civiltà e di rendere patrimonio collettivo queste, come anche tante altre storie, impegnandosi, in particolare, per inserire anche Giuseppe Marino (Giuseppe Macheda c’è già) tra le vittime innocenti che Libera ha adottato (www.libera.it).
Negli anni Ottanta venne attentamente monitorata la collina di Pentimele, particolarmente appetibile per edificazioni non a norma, che avrebbero prodotto notevoli danni ambientali.
Un’azione contenitiva dell’abusivismo edilizio, e dunque di contrasto dirompente alla pervasività della ndrangheta del cemento, al punto da essere espletata di concerto con la sezione della polizia di Stato, in servizio alla Procura in qualità di polizia giudiziaria. Fioccarono gli arresti ed i sequestri di cantiere. Nel 1984 con l’insediamento del pretore Angelo Giorgianni, la squadra venne ampliata. In quel frangente storico anche l’agente Giuseppe Macheda venne assegnato alla squadra di motociclisti specializzata nella vigilanza edilizia, per combattere l’abusivismo e le speculazioni edilizi. Quegli ultimi giorni del febbraio 1985 furono decisivi e scanditi da numerose intimidazioni. Prima l’incendio dell’auto di un collega, Ferdinando Parpiglia, e la sera del 28 febbraio quei colpi di fucile alle spalle, sotto casa mentre fa ritorno, fu fatale. Giuseppe Macheda sarebbe diventato padre tre mesi dopo.
La reazione fu tanto immediata quanto effimera. Il consiglio comunale guidato dal sindaco socialista Giovanni Palamara condannò il gesto confermando la volontà di non abbassar la guarda sul fronte della lotta all’abusivismo edilizio, chiedendo un’azione congiunta di Polizia, Carabinieri e Finanza per fronteggiare la prepotente e sanguinaria mafia del cemento. I vigili sfilarono silenziosamente in strada e ad oggi è ancora forte la consapevolezza che sia stata la solitudine del corpo e degli agenti impegnati, in quella che avrebbe dovuto essere la battaglia contro gli interessi della ndrangheta a Reggio in quel momento, ad avere tragicamente consegnato il giovane Macheda a quel destino violento. La sfida per la legalità nel settore trafficato dell’edilizia a Reggio, si è giocata in quegli anni, negli anni dei condoni (1985 – 1994 – 2003).
Inizialmente furono arrestate tre persone ritenute i mandanti: l’appaltatore Carmelo Ficara, 31 anni e latitante, Francesco Faccì, 31 anni arrestato su un traghetto nello Stretto di Messina e cognato di Ficara ed il collega Roberto Barreca, di 28 anni, arrestato a Milano. Nessun esecutore materiale è mai stato arrestato e processato anche dopo la scelta di testimoniare di Maria Cozzupoli, madre di Natale Polimeni, sicario delle ndrine di Archi, ucciso il primo marzo del 1987, già stato ridotto in sedia a rotelle in un precedente agguato. La madre raccontò che il figlio aveva commesso omicidi e che aveva però rifiutato di uccidere il vigile urbano che stava svolgendo accertamenti sulla proprietà di Ficara, contattato dalla stesso Ficara. Il pubblico ministero Giuseppe Loris chiese tre ergastoli ma lo ottenne solo per Ficara. In primo grado Faccì e Barreca vennero assolti con formula dubitativa che in secondo grado diventò piena. La corte di Appello di Reggio assolse anche Ficara nel 1990. L’omicidio Macheda è ad oggi impunito.
Nove colpi di pistola calibro 9×21 uccisero Giuseppe Marino e tre ferirono il maresciallo Orazio Palamara, in pieno corso Garibaldi, nei pressi della Villa comunale, alle otto di sera del 16 aprile di ventuno anni fa. I primi indiziati furono Antonino e Bartolo Votano. Anni dopo, rivendicò l’agguato il collaboratore Giuseppe Calabrò, coinvolto anche nel delitto dei carabinieri Fava e Garofalo e di altri attentati a componenti dell’Arma dei primi anni Novanta.
Anche allora il sindaco democristiano Giuseppe Reale mostrò indignazione per l’accaduto. Un gravissimo fatto di sangue seguito all’applicazione della legge, all’intervento dei vigili urbano per il rispetto dell’isola pedonale sul Corso Garibaldi. Un affronto per i prepotenti mafiosi che avrebbero voluto passare nonostante il divieto di transito. Ancora una volta, e dopo il delitto Macheda, i vigili urbani a Reggio si sentirono allo sbaraglio nel difendere la legge in una città che da poco era uscita dalla seconda, e più sanguinosa della prima, guerra di ndrangheta, dai tempi bui del delitto Ligato.
Tra il 1974 e il 1977, 233 omicidi. La morte di Giovanni De Stefano e il ferimento del fratello Giorgio nella sparatoria al “Roof Garden”, in pieno centro di Reggio Calabria ad opera del commando di Mico Tripodo e poi la scia di sangue dopo la quale l’Onorata Società diventa La Santa: la prima guerra di ndrangheta delineava così la nuova geografia dei poteri sul territorio dei Piromalli e dei De Stefano. Ne seguiva una seconda nel 1985 con il fallito attentato a Nino Imerti, di Fiumara di Muro, e due giorni dopo con l’uccisione di Paolo De Stefano. Seguirono oltre 700 morti a Reggio Calabria tra il 1985 e il 1991. Con l’omicidio di Ludovico Ligato, nell’agosto del 1989, la ndrangheta dimostrò di aver maturato il nuovo ruolo di interlocutrice della politica e dell’economia. La pax voluta da Cosa Nostra fu siglata con il sangue del magistrato Antonino Scopelliti, ucciso a Campo Calabro il 9 agosto 1991.