di Anna Foti – La via Giudecca, che conserva nel nome tutta la sua identità di antico quartiere ebraico situato all’esterno della cinta muraria a nord dell’antica Reggio, oggi via nel cuore della città calabrese dello Stretto tra mare e monti, da alcuni anni ha restituito alla comunità reggina un’antica pagina di storia. Era il 25 luglio 1511 quando la comunità ebraica veniva scacciata dalla città in forza dell’editto di Ferdinando il Cattolico che decretava l’espulsione degli ebrei dal Regno di Napoli. Ebbene il comune di Reggio Calabria, nel cinquecentesimo anniversario di questo evento storico, nel 2011 ha inteso trasformare quella ferita in tempio di memoria ponendo una targa ad imperituro ricordo di quella scura pagina di storia, proprio sulla via Giudecca, ad angolo Lungomare Matteotti. Presenti alla cerimonia di scopertura l’allora sindaco Demetrio Arena, Maria Cristina Marrari, figlia del maresciallo Gaetano, comandante del campo di lavoro di Ferramonti di Tarsia in provincia di Cosenza, emblema di fulgida umanità nel buio della spietata persecuzione nazista degli ebrei, e di Antonio Sorrenti, presidente del centro studi Triveneto sulla Shoah.
L’antica via Giudecca era sede di una sinagoga e di una scuola, e rappresentava un crocevia di fiorenti traffici commerciali di seta ed altre mercanzie, di cui gli ebrei avevano il monopolio. L’antica Reggio era, infatti, meta di mercanti dal resto della Penisola poichè gli ebrei, dediti anche alla pratica dei prestiti di capitali a tassi usurai, favorivano la crescita delle industrie di seta, cotone, canna da zucchero, carta e di numerose tintorie. Tutto questo durante il periodo svevo e angioino e mentre la stessa comunità ebraica si strutturava con leggi e ordinamenti differenti rispetto a quelli dei cristiani. Non mancarono i momenti di tensione. La comunità ebraica crebbe nei secoli, prima di quell’editto, contribuendo alla ricchezza e all’economia dell’antica Reggio, e alla vivacità del porto, anche con la coltura dei gelsi e con prodotti che venivano venduti ben oltre i confini del Regno.
La ormai moderna via Giudecca non è l’unica traccia di memoria ebraica nel reggino; ve ne sono altre anche in Calabria.
A parte la parentesi, per altro in controtendenza rispetto a quanto avveniva in altri campi, dell’internamento a Ferramonti di Tarsia, nel cosentino, durante la seconda Guerra Mondiale, oggi la comunità ebraica in Calabria non si presenta numerosa, anche se comunque attiva e propositiva. Dopo l’espulsione definitiva avvenuta con decreto del 1540 di Carlo V, che diede fine alle altalenanti espulsioni e riammissioni per contrasti con la fede Cristiana, gli ebrei non convertiti (i cosiddetti “Marrani”) andarono via infatti dalla Calabria.
Parco archeologico Archeo Deri ed il progetto Gheorgheos
Tra le altre prestigiose vestigia spiccano i resti della seconda sinagoga più antica d’Europa dopo quella di Ostia, oggi custoditi nel parco archeologico “Archeo Deri” inaugurato nel 2010 a Bova Marina, e l’eredità di riti e tradizioni, che in determinati periodi dell’anno si ravvivano, come avvenuto a Cittanova nel reggino nel marzo del 2011 quando sono stati accolti due dei cinque Libri del Pentateuco, ossia i primi cinque libri della Bibbia, scritti a mano su pergamena con i caratteri tradizionali della lingua ebraica.
Le tracce di questa tradizione non si esauriscono qui. Esposta anche una bolla della cancelleria Angioina, a firma di Ludovica III d’Angiò e risalente al 1427, sul cui argine superiore è disegnata una Stella di David. Inoltre si narra che fosse calabrese, Chayim Vital, il grande studioso della Kabbalah e che il famoso Donnolo Shabbetai, scrisse proprio in Calabria “Il libro delle polveri”, il primo libro di medicina in lingua ebraica.
Inaugurato nel 2010 a Bova Marina, al quarantottesimo chilometro della statale Jonica 106, il parco archeologico della Vallata di San Pasquale, comprendente l’antiquarium e il centro di documentazione per il Patrimonio Culturale e l’Ebraismo, con l’intento di essere adeguatamente valorizzato è in queste settimane cornice della manifestazione Gheorgheos. Il nuovo progetto culturale è promosso dalla Provincia di Reggio, dal comune di Bova Marina e dall’associazione San Giorgio. Alla presentazione del calendario di incontri nel parco, svoltasi presso il palazzo storico di via Foti, hanno partecipato il sindaco di Bova Marina, Vincenzo Crupi, l’Assessore alla Cultura e alla Legalità della Provincia di Reggio Calabria, Eduardo Lamberti Castronuovo, il Presidente dell’Ente Provincia, Giuseppe Raffa, Carmelo Cuppari, storico dell’arte, Franco Tuscano, in rappresentanza del Parco “Archeo Deri” e Donatella Marra, per l’associazione culturale reggina “Il Diritto Umano”.
Una perla della Calabria grecanica oltre che una vestigia prestigiosa della comunità ebraica nelle zone limitrofe alla Rhegion romana.
Il parco trae il nome “Deri”, forse dalla Delia Vecchia o antica Delia, ossia il nome della città della costa jonica fondata dai Greci dell’isola di Delo e corrispondente appunto al territorio di Bova, distrutta dai Saraceni nel IX secolo. Fu allora che una parte della popolazione fuggì attraversando le montagne dell’Aspromonte ed andando a fondare l’attuale Delianuova, comune del basso tirreno reggino.
Una distesa di reperti dove il respiro antico si mantiene intatto e dove l’identità composita di un territorio diviene risorsa e ricchezza. Siamo nel reggino, nell’area ellenofona che per questo tratto si estende fino a Lazzaro, dove presto sorgerà un altro parco, e che arricchisce il percorso archeologico finora focalizzatosi sull’area di Locri Epizefiri. Dunque apre al pubblico il nuovo parco archeologico della Vallata di San Pasquale, fortemente voluto dalla Regione e adesso in gestione dell’amministrazione comunale di Bova Marina.
Commistioni tra l’area grecanica e gli insediamenti ebraici in Calabria nell’epoca tardo romana, nuova perla della Calabria archeologica dell’area ellenofona inaugurata alla presenza delle istituzioni e di una significativa rappresentanza della comunità ebraica in Italia.
L’antiquarium e, sotto le campate della strada, dei reperti tra cui anche quelli della seconda più antica sinagoga ebraica rinvenuta in Occidente dopo quella di Ostia risalente al II secolo d.C. Quella di Bova Marina è infatti traccia di un insediamento urbano importante avvenuto in età tardo-antica: siamo tra il II e il IV secolo d.C. anche se ancora si è alla ricerca di esatte collocazioni, atteso che vi sono tracce non solo di un luogo di preghiera ma anche e soprattutto di un vero e proprio insediamento. Solo una traccia della presenza ebraica in Calabria di cui esistono già altri riscontri: la fondazione da Aschenez della città di Reggio Calabria, pronipote di Noé; la stampa il 18 febbraio del 1475 a Reggio Calabria dell’unica copia in lingua ebraica, del commento di Rashi alla Torah (vedi paragrafo successivo).
Regalati alla luce e allo studio della Soprintendenza Archeologica della Calabria oltre un trentennio fa quando iniziarono i lavori per il nuovo tracciato della statale jonica, oggi quella pavimentazione musiva con le raffigurazioni della menorah, il candelabro a sette bracci, quel mosaico e quei reperti della contrada Deri sono stati studiati e posti in mostra – con i fondi Por pari a circa 4 milioni di euro investiti nelle annualità 2000 – 2006 – nel parco che ancora oggi necessita di molti interventi per una piena valorizzazione dell’area e per una piena riscoperta di quanto ancora non è stato portato alla luce. Una vestigia prestigiosa della presenza della comunità ebraica in Calabria e non solo. Esistono, infatti, reperti di epoca molto più antica risalenti anche ad epoche preistoriche.
Si ipotizza che un incendio nel VI secolo d.C. fece abbandonare l’insediamento non più abitato in seguito, come invece avvenuto nel sito di Leucopetra (Lazzaro); forse la comunità si trasferì nel sito di Amigdalà, proprio a contatto con l’attuale centro abitato di Bova Marina.
Dunque uno spazio che lega il passato al presente. Nel Medioevo, infatti, moltissimi furono gli ebrei che si stabilirono in Calabria in modo alquanto capillare e ancora oggi molti sono i luoghi che continuano ad essere vissuti.
La presenza ebraica in Calabria
Nella Calabria Citra – corrispondente all’attuale provincia di Cosenza – le località interessate alla presenza ebraica furono Acri, Altomonte, Amendolara, Bisignano, Calopezzati, Cariati, Cassano Ionio, Castiglione, Castrolibero, Castrovillari, Celico, Corigliano, Cosenza, Fiumefreddo, Grimaldi, Laurignano (ancora oggi frazione di Dipignano) Montalto Uffugo, Morano, Mottafollone, Parantoro (ancora oggi frazione di Montalto Uffugo) Paterno, Regina (ancora oggi frazione di Lattarico) Rende, Rose, San Lucido, San Marco Argentano, Scala Coeli, Scalea, Tarsia, Terranova da Sibari, Torano.
Nel Marchesato di Crotone (oggi corrisponde alla provincia crotonese) a metà tra Calabria Citra e Calabria Ultra – quest’ultima corrispondente alle attuali province di Vibo Valentia e Reggio Calabria) gli insediamenti ebraici erano a Belcastro, Caccuri, Cirò, Crotone, Cutro, Isola Capo Rizzuto e l’allora sua frazione Le Castella, Mesoraca, Petilia Policastro, Roccabernarda, Santa Severina, Squillace, Strongoli, l’allora Torre di Tacina (in territorio di Cutro, oggi non più esistente) Umbriatico.
Nella Calabria Ultra, la presenza degli ebrei si registrava ad Amendolea, Arena, Bagnara, Bianco, Bivongi, Bova, Brancaleone, Briatico, Bruzzano, Calanna, Castelmonardo (distrutto dal terremoto del 1783 e poi riedificato poco lontano con nome di Filadelfia, oggi in provincia di Vibo Valentia) Castelvetere (oggi Caulonia, in provincia di Reggio Calabria) Catanzaro, Cittanova (casale di Terranova) Condofuri, Condoianni, Francavilla Angitola, Fiumara di Muro, Galatro, Gerace, Gioia, Grotteria, Laureana di Borrello, Melicucco, Mesiano (località vicina a Mileto), Mileto, Monteleone (oggi Vibo Valentia), Monterosso, Motta Bovalina (centro storico dell’attuale Bovalino) Motta San Giovanni, Nicastro, Nicotera, Oppido Mamertina, Palizzi, Pentadattilo, Pizzo, Plaesano (frazione di Feroleto) Polia, Polistena, Reggio Calabria, Rocca Angitola (oggi inesistente ma i cui abitanti – dopo i terremoti del 1638 e 1659 – si rifugiarono a Pizzo e a Francavilla) Rosarno, Santa Cristina, Sant’Agata del Bianco, Sant’Eufemia d’Aspromonte, Sant’Eufemia Vetere, San Giorgio Morgeto, San Lorenzo, Seminara, Simeri, Sinopoli, Stilo, Taverna (attuale Taverna Vecchia) Terranova, Tritanti (frazione dell’attuale Maropati), Tropee (www.universocedro.com).
Ancora oggi esistono in Calabria zone, strade e vicoli in uso. A Cosenza, ad esempio, si indica “Cafarnone” un quartiere del centro storico, il cui nome deriva da Cafarnao ed ancora nei dintorni di Carpanzano, nel cosentino, esistono un Monte Giudeo ed un Casale Giudeo, mentre le contrade Judio Soprano o Sottano ed Acqua Judia, tra Scigliano, Rogliano e Carpanzano.
Nel crotonese, nei pressi di Santa Severina, vi è una Timpa dei Giudei, la Giudea a Isola Capo Rizzuto ed il sanguinoso Fosso Scannagiudei, a Caccuri, verosimilmente teatro di violenze ed assassinii; poi ancora a Tiriolo, nel Catanzarese, la contrada Giudecca; in provincia di Reggio Calabria, a Caulonia la contrada Iudica.
Il Portello dei Giudei è invece a Castrovillari e la Porta Giudecca a Corigliano e Rossano, quasi certamente gli ingressi nel quartiere ebraico non sempre corrispondenti a canoni urbanistici atteso che il quartiere ebraico ha conosciuto collocazioni e livelli di integrazione fluttuanti. Autonomi nella loro amministrazione sia giuridica che fiscali, furono grandi banchieri e lavoratori della seta.
Dopo l’espulsione definitiva avvenuta con decreto del 1540 di Carlo V, che diede fine alle altalenanti espulsioni e riammissioni per contrasti con la fede Cristiana, gli ebrei non convertiti (i cosiddetti “Marrani”) lasciarono la Calabria.
Tante le tracce e le testimonianze anche se oggi sono isolate le presenze fisiche ebraiche in Calabria. Tuttavia d’estate lungo la Riviera dei Cedri – alto tirreno calabrese comprendente 22 comuni tra Tortora e Paola – sono tanti i rabbini che vengono a raccogliere i frutti per la celebrazione della Festa delle Capanne, che secondo il calendario ebraico cade a cavallo tra settembre ed ottobre. Essa rievoca l’uscita dall’Egitto ed il quarantennio in cui il popolo di Israele visse nel deserto, prima dell’ingresso nella Terra Promessa.
18 febbraio 1475, stampato a Reggio il primo libro in Ebraico del mondo
L’Ebraismo, la sua ricchezza del patrimonio storico e culturale e la sua storia millenaria lasciano anche nella città calabrese dello Stretto una preziosa eredità che si lega anche alla illustre tradizione della Lingua scritta, anticamente e profondamente radicata nell’area calabro – sicula. Gli scriptoria nel comprensorio reggino furono fucina, infatti, di codici italo-greci oggi conservati nelle più prestigiose biblioteche di tutto il mondo.
A suggello di tale legame, la pagina prestigiosa scritta proprio a Reggio Calabria il 18 febbraio 1475, quando fu stampato e pubblicato il primo libro in lingua Ebraica con data certa, il Commentarius in Pentateuchum del rabbino ed esegeta francese di origini ebraiche Rashi (Rabbin Salomon ben Isaac), il più grande commentatore di Torah e Talmud.
Inoltre si narra che fosse calabrese, Chayim Vital, il grande studioso della Kabbalah e che il famoso Donnolo Shabbetai, scrisse proprio in Calabria “Il libro delle polveri”, il primo libro di medicina in lingua ebraica.
Fu il tipografo Abrahm Ben Garton ben Isaac, discendente da una famiglia ebreo – tedesca, a dare alla luce a Reggio il libro in lingua ebraica più antico al mondo, come riportato sulla “Storia di Reggio Calabria” di Domenico Spanò Bolani e nelle “Memorie delle Tipografie Calabresi”* da Vito Capialbi. A memoria di questo raro tomo, scritto con caratteri ebraici mobili (senza vocali) e simbolo della tradizione dei primi libri a stampa (incunaboli) risalenti al 1500 di cui anche Reggio fu fucina, una copia anastatica è custodita presso la Biblioteca comunale “Pietro De Nava” di Reggio Calabria, che ne ha fatto richiesta nel 2006 alla Biblioteca Palatina di Parma (fondo di Giovanni Battista De Rossi, ebraista e bibliografo) che invece conserva l’originale. Altra copia è custodita a Gerusalemme.
Dalle informazioni riportate nel colophon dell’antico tomo si legge: “Nel luogo del mio studio ho scritto libri”. Si potrebbe dedurre che lo stesso Abrahm Ben Garton ben Isaac abbia scritto, e forse anche stampato, a Reggio altre opere poi inviate in Spagna, dove lo stesso risiedeva, ed andate perdute per via dell’espulsione degli Ebrei ad opera dell’Inquisizione. Trecento sarebbero state le copie stampate del solo testo di Rashi a Reggio, come riportato nelle Storia della Tipografia ebraica in Italia. Ciò che è certo è che di queste copie sopravvive solo quella custodita a Parma, di cui vi è copia e Gerusalemme e Reggio Calabria, che è anche l’unica opera sopravvissuta tra quelle stampate dallo stesso Abrahm Ben Garton ben Isaac a Reggio.
La biblioteca reggina “De Nava” non solo custodisce la copia del prezioso tomo in lingua Ebraica di Rashi stampato da Abrahm Ben Garton ben Isaac a Reggio, ma conserva anche altri libri in lingua ebraica risalenti all’epoca della florida Giudecca, come un antico Lexicon, vocabolario.