
di Anna Foti – ‘E’ morto tra le mie braccia per difendere le terre di famiglia, 12 ettari coltivabili a Castellace, frazione di Oppido Mamertina nella provincia tirrenica di Reggio Calabria;
è stato colpito per non aver ceduto alla tracotanza mafiosa, abbandonato dallo Stato’, questo il ricordo di Teresa Cordopatri, la nobildonna denominata baronessa coraggio, ‘baronne courage’ come ha scritto di lei il quotidiano francese “Le Figaro”, sorella del barone Antonio freddato con tre colpi di pistola in pieno giorno, alle 10 del mattino, il 10 luglio del 1991 all’uscita di casa in via D’Annunzio 9 a Reggio Calabria. Una donna di stirpe nobile ma convinta profondamente che la nobiltà sia determinata dalle azioni di ogni uomo non da diritti di nascita, una donna che ha creduto nello Stato, nonostante esso non sia riuscito a proteggere e ‘salvare’ il fratello Antonio Cordopatri dalla violenza delle ndrine.
Usciva di casa con lei per recarsi alla Novena del Carmine e ad aspettarlo c’era un giovane sicario, Salvatore la Rosa, killer inviato da Francesco Mammoliti che, fingendosi investito, bloccò il veicolo guidato dal barone Antonio Cordopatri e sparò contro di lui alla guida dell’auto; tutto ciò mentre la sorella Teresa chiudeva il portone di casa. Avrebbe dovuto salire in macchina invece si scagliò immediatamente contro il killer, appostato da ore sotto casa, riuscendo a deviare solo l’ultimo dei quattro colpi diretti al fratello, però già in fin di vita. Teresa lo inseguì senza però riuscire a raggiungerlo, mentre l’allarme – nell’immediatezza si pensò ad uno scippo – si diffuse rapidamente in città a Reggio e la fuga dello stesso killer terminò con un arresto in flagranza.
La baronessa Teresa ancora non sapeva che il fratello Antonio questa volta non era sopravvissuto come invece era accaduto in occasione dell’attentato in località Ferrandina a Castellace, decenni prima, quando in una situazione analoga il fratello scampò al fuoco piegandosi su sé stesso. Questa volta dopo aver tentato di inseguire il killer, tornata sul luogo del delitto, l’uscio della sua casa, un carabiniere le andò incontro e lei intuì che il destino questa volta era stato impietoso. ‘Aveva il sorriso sulle labbra’, racconta a distanza di 21 anni da quel drammatico giorno, ‘ha cercato di difendere le terre della sua famiglia al prezzo della sua vita, con uno Stato che fino a quel momento aveva ignorato le numerose e puntuali denunce sporte per intimidazioni, visite, lettere, telefonate, persino colpi di pistola sparati a salve nell’ottobre del 1990 davanti casa, come una prova generale del delitto del 10 luglio dell’anno dopo, e quella telefonata minatoria nel Natale dello stesso anno’.
A distanza di 21 anni da quel giorno di sangue, il ricordo della baronessa Teresa non può placarsi ma diventa speranza per quelle stesse terre che, grazie al progetto della cooperativa sociale Aida, costituita con la cugina Angelica Rago, unica della famiglia ad esserle rimasta accanto nella lunga battaglia per l’affermazione di verità e giustizia, potrebbero dare lavoro ai giovani e rappresentare un’opportunità di valorizzazione della vocazione agricola della Piana di Gioia Tauro.
La Baronessa Teresa oggi ha questo ardente desiderio, l’unico che possa onorare degnamente la memoria di suo fratello Antonio, l’unico che possa riscattare questo fazzoletto di terre di Calabria difese con il sangue innocente di suo fratello. Per dare forza e voce a questo progetto che incontra non poche difficoltà – prima tra tutte l’assegnazione di immobili con situazioni controverse e la mancata consegna, nonostante le innumerevoli promesse, di terreni confiscati, tantissimi nella Piana e necessari per l’avvio fattivo dell’attività della cooperativa – la baronessa Teresa Cordopatri, sotto scorta dal dicembre del 1991, impegnata nel prosieguo dell’attività dell’oleificio legato alla coltivazione degli uliveti di famiglia, si racconta e racconta quali sia oggi lo stato d’animo di una donna che ha visto morire il fratello per mano di un killer, che ha vissuto tutti i gradi del processo seguito alle indagini dell’Arma, emblematicamente denominate ‘Pace tra gli ulivi’ e che hanno portato all’esperimento dei tre gradi di giudizio e alla condanna dell’esecutore Salvatore La Rosa e del mandante Francesco Mammoliti; una donna che ha preferito ricorrere ad avvocati non calabresi unicamente per non esporli a pericoli e ritorsioni; una donna che ha ottenuto solo nel maggio scorso giustizia anche per il tentato omicidio nei suoi confronti sempre quel 10 luglio 1991.
Una donna ai cui occhi lo Stato, latitante per anni, si è riscattato solo dopo il delitto con l’operato dell’Arma, in particolar modo ma anche delle altre Forze dell’Ordine, impegnata nel delicato accertamento di fatti, tuttavia già annunciati. ‘Tante le denunce sporte nel corso dei decenni da mio fratello Antonio Cordopatri, da mio padre Domenico prima di lui, poi quella lettera anonima inviata in Prefettura a Reggio nel giugno del 1991 in cui si parlava di un proprietario che non voleva cedere le sue terre’, così racconta la baronessa Teresa recentemente vittoriosa anche del ricorso al Tar per il ripristino della scorta revocatale per i tagli al settore Giustizia, dal marzo al giugno di quest’anno. La baronessa Teresa, in passato vittima di pesanti intimidazioni, sempre lontana dalle ribalte ma concretamente impegnata in progetti di fattiva affermazione di legalità, oggi racconta di uno Stato che, seppur dopo la tragedia, le è stato accanto, e di una giustizia che da quella prima sentenza del Giudice Salvatore Boemi, nel corso degli ultimi 20 anni le ha dato delle risposte.
‘Non avrei voluto ristabilire la verità sulla proprietà dei terreni, la libertà di operarvi senza cedere alle angherie dei mafiosi al prezzo della vita di mio fratello, ma la Fede che profondamente mi anima, mi guida al perdono ed al desiderio di infondere speranza lì dove è stato sparso del sangue innocente’. Quel 10 luglio 1991 costituisce uno doloroso spartiacque nella storia della famiglia Cordopatri, una storia scritta con il coraggio, con la resistenza civile, con la fiducia, ripagata solo in seguito, nello Stato e della Giustizia.
Si tratta di una storia che comincia negli anni Settanta quando l’oleificio della sua famiglia viene distrutto. Il padre di Antonio, Teresa e Francesco (morto nel 1990), Domenico Antonio Cordopatri dei Capece resistette in solitudine, ma denunciando costantemente, alle pressioni delle ‘ndrine. Nel mirino vi erano all’epoca tutti i proprietari terrieri della Piana di Gioia Tauro. Chi cedeva e rimaneva, chi andava via. Nessuno denunciava. Da parte di Domenico Antonio Cordopatri nessuna resa fino a quando fu nelle condizioni di farlo. Nel 1965, infatti, a sorprendere i tre figli neppure trentenni, la morte della mamma, la marchesa Isabella D’Ippolito, ricordata per la sua umiltà e la sua generosità di animo, che precedette solo di alcuni mesi un ictus che colpì papà Domenico Antonio immobilizzandolo e decretando la fine della gestione familiare, per quel frangente, degli uliveti di Castellace. I terreni, a rischio di abbandono furono ‘aggrediti dalla malapianta mafiosa’ ed in buona fede furono affidati a Francesco Ventrice, in realtà solo un prestanome. I terreni sarebbero tornati nelle mani della famiglia Cordopatri, l’unica vivente la baronessa Teresa, solo dopo il delitto del 1991. Oggi l’oleificio è una realtà preziosa per la Piana ma per la baronessa coraggio non è abbastanza. Per questa terra assetata di speranza si può fare e si deve fare di più.
Così nasce la cooperativa Aida, le cui lettere che compongono il nome in realtà sono intrise di memoria e di speranza e scolpiscono le storia del fratello Antonio, di mamma Isabella e di papà Domenico Antonio. Per ora solo costituita, essa è in attesa di poter operare su terreni confiscati, mettendo a disposizione gratuitamente i mezzi meccanici, e dare lavoro a giovani calabresi. Dopo tanti incontri con autorità, i tanti impegni disattesi, la cugina della baronessa Teresa, Angelica Rago, amministratore della cooperativa, ha recentemente scritto a tutti i sindaci dei comuni della Piana pe
r esporre il progetto e manifestare interesse all’assegnazione di terreni confiscati, di cui sarebbero rispettate le vocazioni, siano uliveti, aranceti o altre coltivazioni.
La memoria fa il suo corso e, a volte, semina al contempo. A volta questa semina risulta osteggiata da burocrazia e resistenze ‘altre’. I tempi prima del raccolto possono essere lunghi. Ci vuole fatica, ci vuole fiducia e ci vuole pazienza prima che i frutti siano godibili e condivisibili: questa la preziosa lezione quotidiana della terra. Una lezione di cui la cooperativa Aida intende far tesoro.
L’ostinazione e la determinazione non mancano in Teresa Cordopatri ed Angelica Rago. Adesso bisogna che altri, più volte sollecitati, al più presto, facciano la loro parte.