E’ una giornata uggiosa a Reggio Calabria in questo 29 dicembre e non soltanto dal punta di vista climatico. Sembra una “quaresima” anticipata dopo le feste e i festini degli scorsi anni della “reggio da bere” di cui a noi, cittadini “comuni”, dopo la sbornia, resta ben poco se non le tasse e i balzelli di un improbabile risanamento che si tenta a colpi di machete nell’ormai inutile, stucchevole e improduttivo dibattito tra dissesto si e dissesto no. Per fortuna le forze politiche e i movimenti –anche loro – hanno altro cui pensare in vista delle prossime elezioni tra primarie per la scelta dei candidati (ma chi ci crede?) e raccolte di firme. E’ tutto un fiorire di buoni propositi, quasi una sorta di anticipata primavera. Per nostra sfortuna le bugie non fanno crescere il naso e soltanto la buona memoria ci aiuta a discernere il grano da loglio, ammesso che ve ne sia rimasto qualche chicco (di grano dico) nel mare infinito di loglio.
Quanto ai giovani di questa Città – condannati ad una silente morte per “inedia da lavoro” e che pure ancora studiano con disperata lucidità nel quasi totale vuoto di prospettive future, si impegnano nel sociale e nelle attività culturali – sono più oggetto di convegni e seminari che di concrete iniziative e il lavoro, un lavoro dignitoso che consenta di vivere, è ormai quasi un miraggio, una meta per pochi fortunati e ancor più privilegiati.
C’è la crisi economica ma anche un crescente bla bla di buone intenzioni – e di buone intenzioni è spesso lastricato l’inferno -, un chiacchiericcio diffuso che attraversa forze politiche e istituzioni, poco produttivo pur in una realtà –come quella reggina – che registra la presenza di una criminalità mafiosa che si prova a combatte sul piano della repressione senza peraltro neppure uno sforzo per affrontare il nodo sociale che è, oggi più che mai, quello del lavoro. La disperazione dei giovani inoccupati è o può essere un bacino di consenso, magari tacito, verso la criminalità. Tanto più lo Stato e le istituzioni si ritirano dal sociale tanto più difficile riesce, al di là di effimeri successi, sconfiggere l’illegalità. Ma questo, Caro amico, a chi importa?
Oggi sento il bisogno, forte, di iscrivermi idealmente alla “Congregazione degli Apoti” (fondata da Giuseppe Prezzolini -Rivoluzione Liberale del 22 novembre 1922 lettera a Piero Gobetti) di “coloro che non le bevono” tanto non solo l’abitudine ma la generale volontà di berle, è evidente e manifesta ovunque”. Di Prezzolini ti raccomando anche “Il Codice della Vita Italiana” (1921). Leggi il capitolo dedicato ai “fessi”. Non ti sembra attuale e così adatto a descrivere oggi la situazione reggina e italiana. “Non c’è una definizione di fesso. Però: se uno paga il biglietto intero in ferrovia, non entra gratis a teatro; non ha un commendatore zio, amico della moglie e potente nella magistratura, nella Pubblica Istruzione ecc.; non è massone o gesuita; dichiara all’agente delle imposte il suo vero reddito; mantiene la parola data anche a costo di perderci, ecc. questi è un fesso.”
Come vedi, caro Amico, io e te, insieme a tanti altri, apparteniamo sicuramente alla categoria dei fessi ma… almeno… non le beviamo.
Tito Tropea, Presidente Anassilaos Giovani