• Province e provinc(i)e: conoscerle prima di eliminarle

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    di Enzo Vitale* – Abituati come siamo a parlare come leggiamo e, spesso, a scrivere come parliamo, non si pensa ad etimi e regole grammaticali sposando la prassi, che comunque nel tempo influenza se non addirittura determina

    lo stabilirsi di queste. Così come, spesso, ci comportiamo in conseguenza di valutazioni contingenti di fatti e cose e persone senza indagare sulla loro causa e origine e vissuto.

    Se non è sbagliato l’approccio pragmatico che generalmente abbiamo verso la nostra lingua, lo stesso non si può dire nel secondo caso. Se, quindi, può essere interessante andare riscoprire o scoprire la regola che è sottesa all’uso di un lemma, soprattutto quando questo attinge agli onori della cronaca; è indispensabile un’attenta valutazione della storia di ciò su cui si andrà a decidere.    

    Due domande. Il plurale di provincia si scrive “provincie”, così come si trova nella nostra carta costituzionale, o invece “province”, come la prassi corrente ci suggerisce? La provincia dev’essere eliminata dalla nostra Carta Costituzionale, come suggerisce una pragmatica valutazione economico-aziendalistica, o invece rivalutata alla luce di una moderna ingegneria istituzionale? Affrontiamo in questa sede il primo, più facile, quesito.

    Cosa recita oggi la regola grammaticale? Si è artificiosamente stabilito che il plurale delle parole che si concludono con “cia” e “gia” mantengano la “i” solo se “c” e “g” sono precedute da una vocale e la perdano se queste sono precedute da una consonante. Esempi: camicia, la cui “c” è preceduta da una vocale, al plurale fa camicie e non camice; mentre faccia, la cui “c” è preceduta da una consonante, fa facce e non faccie. Secondo questa regola, provincia, la cui “c” è preceduta dalla consonante “n”, al plurale dovrebbe fare province.

    Una regola arbitraria e tutto sommato inutile perché, se la regola serve a rendere intellegibile il termine, mentre al singolare la presenza o meno della “i” può a volte essere indispensabile a indicare un suono palatale (esempio classico quello di ciliegia/ciliega) al plurale la presenza o meno della “i” non cambia la pronuncia.

    Una volta, invece, non era così e la regola ortografica privilegiava l’etimo. Provincia è una voce latina che nell’antichità, non avendo il latino né la “v” né i suoni palatali, era composta di quattro sillabe e si pronunciava “pro’winkia” (al plurale “pro’winkiae”) con la “i” dal suono ben chiaro e distinto. Ai tempi della redazione della nostra Costituzione, quando ancora non era stata formalizzata la regola ortografica di cui sopra, sì è preferito mantenere la “i” nonostante che il lemma nella lingua parlata si fosse ristretto a tre sole sillabe perdendo la sonorità della “i”.

    In medio stat virtus: mantenere il criterio etimologico per le parole dotte, ovvero di provenienza greca o latina, mantenendo la “i” al plurale; eliminare la “i”  nei plurali delle parole di origine popolare.

    La stessa via di mezzo dovrebbe essere “virtuosamente” seguita quando il legislatore andrà a riformare le autonomie locali: prima di eliminarle dalla nostra Carta Costituzionale, si dovrebbe pensare a tutto il portato identitario delle provincie e a ciò che queste hanno rappresentato nell’Italia postunitaria.

    *Presidente laboratorio politico Città Libera

    enzovitale@diarioreggino.it

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