di Grazia Candido – E’ ripreso questa mattina, il processo per la strage di Quargnento dove, la notte tra il 4 e 5 Novembre del 2019, furono uccisi per lo scoppio di una cascina, i vigili del fuoco Antonino Candido, Marco Triches e Matteo Gastaldo.
Fuori dal tribunale di Alessandria, i rappresentanti del sindacato Usb e alcuni colleghi delle tre vittime con addosso una maglietta bianca con i volti di Nino, Matteo e Marco, hanno esposto uno striscione con su scritto: “Salviamo la vita agli altri, il resto conta poco. Ergastolo!”
Una frase che non ha bisogno di alcuna spiegazione ma volutamente rivolta a chi dovrà giudicare i responsabili di una tragedia che poteva essere evitata.
Nell’aula della Corte d’Assise, gli avvocati dei due imputati, Gianni Vincenti e Antonella Patrucco, entrambi accusati di omicidio volontario plurimo e per i quali, nella precedente udienza, il procuratore Enrico Cieri aveva avanzato la richiesta di condanna a 30 anni con il riconoscimento delle attenuanti, hanno tracciato i movimenti dei loro assistiti quella notte chiedendo a fine arringa di derubricare il reato contestato dall’accusa in omicidio colposo “con il riconoscimento delle attenuanti generiche della semi infermità”.
“Lasciamo fuori l’emotività dal processo. I vigili del fuoco non dovevano entrare: non c’era nessuno da salvare in quella cascina, non c’era niente e, quindi, non c’era dovere di sicurezza – ha affermato l’avvocato Lorenzo Repetti, difensore di Gianni Vincenti -. Questa non vuole essere lesa maestà nei confronti dei vigili del fuoco, ma dobbiamo accertare se il caposquadra ha dato l’ordine corretto pur restando ferme le responsabilità enormi di Vincenti. Che però sono colpose”.
Parole che feriscono, ancora una volta, i parenti delle tre vittime, i genitori e la sorella di Nino Candido presenti anche oggi in aula e che non possono accettare la giustificazione propinata dai legali che “i timer erano stati disposti alla stessa ora e che Vincenti pensava che il secondo non avesse funzionato e non poteva rendersi conto di quello che stava succedendo”.
Amareggiato e visibilmente affranto, il papà di Nino, anche lui vigile del fuoco, difende a spada tratta il caposquadra Giuliano Dodero (rimasto ferito durante lo scoppio della cascina) al quale gli si contesta “un comportamento imprudente”.
“Ma quale imprudenza! Quando sono stati avvisati, i coniugi Vincenti potevano dire che ci sarebbe stato un altro scoppio e fare allontanare tutti. Denigrano il caposquadra Dodero, anche io sono stato un caposquadra, oggi sono caporeparto a Reggio Calabria, ma alla fine di ogni intervento, facciamo un rapporto sulla zona dove siamo intervenuti e lasciamo in sicurezza il luogo solo dopo un accurato controllo visivo. Ed è quello che hanno fatto quella sera i vigili del fuoco. Il caposquadra ha agito perfettamente” – conclude Angelo Candido.