di Giusva Branca – La vittoria di Giuseppe Falcomatà va ben oltre il dato che racconta di una superiorità schiacciante e di un credito importante che la città ha aperto nei suoi confronti conferendogli a questo punto amplissimo mandato per disegnare il futuro di Reggio. Il dato uscito dal ballottaggio ci offre il quadro di un tracollo fallimentare per Minicuci e chi, nel centrodestra, ha sposato la candidatura dell’uomo scelto da Salvini.
Sono tempi bui, difficili, oscuri da decifrare e nei quali il futuro appare come un tunnel buio sprangato in fondo.
E proprio per questo motivo, soprattutto alle nostre latitudini, è difficilissimo, quasi impossibile, pensare a un doppio mandato amministrativo.
Basti guardare alla Regione Calabria, dove con puntualità cronometrica, si alternano al governo gli opposti schieramenti, semplicemente perché la gente è scontenta, delusa, da tutti, e quindi il voto non rispecchia la fiducia verso il nuovo, bensì la sfiducia verso il vecchio. Sempre.
Anche al Comune di Reggio le premesse per seguire questo schema c’erano tutte. Giuseppe Falcomatà, dopo 6 anni molto difficili a Palazzo San Giorgio, si è comunque barricato in un fortino di consensi che, sia pure molto, molto inferiore rispetto al plebiscito del 2014, ha rappresentato un gruzzoletto granitico dal quale ripartire per chiedere fiducia rispetto a un “secondo tempo” che lui stesso ha definito essere molto diverso dal primo, adducendo a motivazione le diversissime premesse amministrative ed economiche dell’Ente.
Ma non sarebbe bastato se lo sfidante di Falcomatà non avesse deciso, unitamente alla Lega di Salvini che fino all’ultimo respiro, per bocca del suo leader maximo, ha rivendicato la paternità delle scelte, di umiliare il territorio.
Chiunque altro – ed erano una decina i nomi pronti a spendersi – che non fosse stato Minicuci e non fosse espressione della Lega, sarebbe partito in posizione di netto vantaggio contro il Sindaco uscente, non più forte come sei anni prima, esattamente per effetto di quel principio della “alternanza obbligata” cui accennavo in testa.
Ebbene, la Lega e Matteo Salvini, con colpevole acquiescenza dell’intero schieramento di centrodestra, hanno battezzato male il territorio e, soprattutto, la sua tendenza ad accettare qualunque cosa.
Il Reggino, però, è strano, decide sempre e comunque di testa sua, anche le cose più strampalate, ma di testa sua.
E allora, oggi tocca al cdx fare il mea culpa per un rigore sbagliato a porta vuota, per aver scelto di farlo battere a un rigorista inesperto di competizioni elettorali e bendato.
Minicuci – non so quanto volontariamente, ma in caso contrario è anche peggio – ha continuamente trattato il territorio come qualcosa addosso al quale far calare dall’alto scelte e comportamenti, senza curarsi di “ascoltarlo”.
La scelta di puntare tutto sulla voglia di mandare a casa Falcomatà è stata un errore clamoroso, perché il Reggino è strano e fa di testa sua.
E allora, all’ultimo momento, nell’urna ha preferito il secondo tempo di Falcomatà – del quale, magari, non era troppo convinto – ma in proprio, piuttosto che un’alternativa per la quale avrebbe anche votato volentieri, ma non in questo modo, non calata dall’alto, non con l’insopportabile pennacchio della Lega Nord.
Minicuci ha continuato a snobbare il territorio prima sfuggendo ai confronti e poi umiliando le numerose testate giornalistiche di Reggio e provincia per privilegiare altre realtà.
Scelte, certo. Legittime.
Esattamente come quelle che la gente ha messo nell’urna elettorale. Legittime.
Ma frustranti per quella parte di elettorato di centrodestra che con altre logiche, con altri protagonisti, con diversa attenzione per il territorio, avrebbe spinto a Palazzo San Giorgio qualunque altro candidato.
Reggio ha ridato fiducia a Falcomatà.
Questi sono i fatti.
E, come sempre, ora, chi ha vinto festeggia e chi perde spiega, ma chi ha perso per autogol fa fatica a prender sonno…