Di Anna Foti – «Ma verità e giustizia per chi. Per noi? Certo. Ma non solo per noi. Verità e giustizia per i calabresi. Per il Paese. Perché papà non è mai stato solo nostro. Papà è patrimonio di questo Paese.
Un Paese per cui ha dato la vita e che ha difeso tutelando i più deboli, garantendo giustizia ai giusti con la passione e l’umiltà di chi sapeva di non essere infallibile». Questo ha scritto Rosanna Scopelliti, in un post pubblicato su Face Book nel giorno della notizia circa la svolta nelle indagini dell’omicidio di suo padre, del nonno che la sua piccola bimba non potrà mai conoscere. Rosanna è presidente della fondazione, con sede a Reggio Calabria, intitolata alla memoria del padre, il magistrato reggino Antonino Scopelliti ucciso il 9 agosto 1991 a Piale, tra Campo Calabro a Villa San Giovanni, il cui agguato mortale fu al centro di un patto tra Cosa nostra e Ndrangheta. Attraverso un comunicato diffuso qualche giorno dopo, la fondazione Scopelliti ha annunciato che si costituirà parte civile nell’eventuale processo contro i responsabili. “La costante attesa del riconoscimento giudiziario della verità e la piena fiducia nell’operato degli Organi di indagine sono stati il motore dell’attività che la Fondazione ha svolto dal 2007 ad oggi, contribuendo alla diffusione di quei valori che hanno caratterizzato non solo il magistrato, ma soprattutto l’uomo Antonino Scopelliti: un grande uomo dalla parte dei deboli e dei dimenticati, un calabrese dalla parte della dignità e della verità”, si legge nel comunicato.
Rosanna attende da anni con fiducia che la magistratura restituisca almeno la verità su quel drammatico giorno, non solo a lei e alla sua famiglia, ma anche alla Calabria e alle persone perbene che la popolano e che, in uomini integri, onesti e seri come suo padre, continuano a riconoscersi.
La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, dunque il procuratore capo Giovanni Bombardieri e gli aggiunti Gaetano Calogero Paci e Giuseppe Lombardo, indagano adesso su diciassette (poi diventate diciotto) persone; tra queste spicca il latitante di sempre, Matteo Messina Denaro, ricercato dal 1993. Con lui indagati anche gli altri siciliani, Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Vincenzo Salvatore Santapaola, Francesco Romeo e Maurizio Avola, e i calabresi, Giuseppe Piromalli, Giovanni e Pasquale Tegano, Antonino Pesce, Giorgio De Stefano, Vincenzo Zito, Pasquale e Vincenzo Bertuca, Santo Araniti e Gino Molinetti, ai quali qualche giorno dopo si è aggiunto il boss Giuseppe De Stefano.
Nello stesso post al quale ha affidato i suoi pensieri in un momento così delicato, Rosanna ha condiviso il ricordo di suo padre.
«Non era un magistrato mediatico, schivava le telecamere, rispettava vittime e imputati senza mai ergersi a censore. Era temuto per la sua conoscenza del diritto. Perché ogni tesi che portava era suffragata da argomenti spesso inoppugnabili. Combatteva con le silenziose armi della conoscenza e dell’etica. E per quello è stato ucciso. Ucciso dopo aver rifiutato una cifra immensa. Ucciso per aver fatto il suo lavoro con la competenza che lo contraddistingueva. Ucciso lasciando a noi, a me bambina, un insegnamento difficile da comprendere pienamente: il rispetto per la propria dignità. Una dignità che non è in vendita».
Antonino Scopelliti rimase vittima di un brutale agguato mentre tornava a casa, a bordo della sua auto. Due uomini in moto lo uccisero, indirizzando alla sua persona una pioggia di proiettili. Due lo colpirono mortalmente alla testa. Morì sul colpo. Il commando avrebbe utilizzato un fucile calibro 12 ritrovato nelle campagne siciliane, proprio grazie alle indicazioni del pentito catanese Maurizio Avola, al quale si devono rivelazioni decisive anche per la scoperta della verità su molti omicidi tra cui quello del giornalista Giuseppe Fava. L’arma sarà sottoposta nei prossimi giorni alla perizia della polizia scientifica, per come disposto dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria.
Il delitto di Antonino Scopelliti, a distanza di quasi trent’anni, non ha ancora avuto giustizia e verità. Quel convincimento diffuso che si fosse trattato di un agguato, frutto di un accordo tra cosa nostra e ndrangheta, adesso si appresta ad assumere volti e nomi con l’elemento nuovo che Cosa Nostra potrebbe, non solo avere deciso, ma potrebbe avere anche partecipato all’agguato mortale del 9 agosto 1991. A decidere questa uccisione potrebbe essere stata la super cupola che riunisce il gotha di tutte le organizzazioni mafiose, massoni, politici e servizi deviati per una gestione unitaria di tutte le mafie italiane. Le indagini, complesse e delicate, della procura reggina sono in svolgimento anche su questo aspetto.
« In un diario, Antonino Scopelliti ha lasciato scritto che “ogni processo è un processo di liberazione della verità. Il giudice lo compie in solitudine. Il giudice è solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso», si legge sul volume “Nel loro segno”, curato dal Consiglio Superiore della magistratura nel ricordo delle vittime del terrorismo e delle mafie il 9 maggio 2011. Una testimonianza preziosa che descrive la prevalenza della Coscienza e dell’Etica che nel lavoro di ricerca della verità è necessaria e che giudici come Antonino Scopelliti hanno incarnato fino in fondo.
Una brillante carriera di uomo di legge per Antonino Scopelliti, entrato in magistratura a soli 24 anni. Pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Roma, poi presso la procura della Repubblica di Milano, quindi procuratore generale presso la Corte d’appello e infine sostituto procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione. Si occupò di mafia e anche di terrorismo, rappresentando la pubblica accusa nel primo processo sul caso Moro ed in quelli relativi al sequestro dell’Achille Lauro, alle stragi di Piazza Fontana e del Rapido 904. Tra i processi a lui affidati anche quello contro Cosa Nostra. Quell’estate lavorava proprio al rigetto dei ricorsi avverso la condanne in appello presentati, dinnanzi alla corte di Cassazione, dagli imputati nel maxiprocesso di Palermo; il processo penale più imponente di sempre, 460 imputati, istruito da Falcone e Borsellino nella prima metà degli anni Ottanta. Quel giudizio per crimini di mafia era iniziato il 10 febbraio 1986 e era terminato il 30 gennaio 1992, con la conferma di 19 ergastoli e di oltre 2600 anni complessivi di reclusione. E’ chiaro il legame tra il processo istruito da Falcone e Borsellino e il ruolo di ultimo avamposto per quelle sentenze fatte arrivare fino in Cassazione con l’intento di capovolgerle e così vanificare lo straordinario lavoro di contrasto avviato a Palermo e la cui strenua difesa era affidata ad Antonino Scopelliti, giudice incorruttibile e che necessariamente doveva essere eliminato.
« Ai funerali di Antonino Scopelliti partecipa Giovanni Falcone che il 17 agosto sulla Stampa, rende pubblico il suo pensiero sull’omicidio del collega, segnala il possibile collegamento tra Cosa Nostra siciliana e la ‘ndrangheta calabrese e soprattutto fa riferimento al maxi processo che sta per celebrarsi in Cassazione: L’eliminazione di Scopelliti è avvenuta quando ormai la Suprema Corte di Cassazione era stata investita della trattazione del maxiprocesso alla mafia palermitana e ciò non può essere senza significato. Anche se, infatti, l’uccisione del magistrato non fosse stata direttamente collegata alla celebrazione del maxiprocesso davanti alla Suprema Corte, non ne avrebbe comunque potuto prescindere, nel senso che non poteva non essere evidente che quell’omicidio avrebbe pesantemente influenzato il clima dello svolgimento in quella sede», si legge ancora sul volume “Nel loro segno”.
Erano anni ruggenti per la lotta alle mafie. “Da cittadino, prima ancora che da Sindaco – ha dichiarato il primo cittadino di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà – vorrei si possa fare piena luce su quell’assassinio non solo per dare pace al ricordo del Giudice Antonino Scopelliti, cui rivolgiamo l’esercizio amorevole della memoria, ma anche perché, come appare ormai sempre più evidente, accertare la verità che ruota attorno al delitto di Piale, significherebbe ricostruire un pezzo importante della storia d’Italia, un passaggio significativo utile a definire i contorni della geografia criminale degli ultimi decenni”.
Nel suo post Rosanna, impegnata a promuovere la memoria ed a generare occasioni di impegno e prese in carico per il territorio attraverso la fondazione Antonino Scopelliti, parla spesso della sua piccola, consapevole che la memoria sarà l’unico modo attraverso il quale la sua bambina potrà conoscere il nonno. Sarà difficile doverle spiegare «Perché oggi non può abbracciarlo e farsi raccontare da lui la storia della buonanotte e perchè questa battaglia di verità, che spesso mi porta lontano da lei per giorni, appartiene non solo a noi, ma a tutto il Paese. Perché attraverso questa verità passa il riscatto di una terra che non è quella degli assassini di Antonino Scopelliti, ma quella che non ha mai smesso di fare memoria. Di impegnarsi. Di credere, orgogliosamente, che dal sacrificio delle nostre vittime possa nascere qualcosa di buono. Con la Fondazione lavoriamo per questo da anni con iniziative mirate non solo alla memoria, ma anche a garantire la possibilità ai nostri giovani di investire in un territorio che, e bene che lo capiscano, appartiene a loro e non alla ‘ndrangheta. (…) questo è quello che vorrei nascesse dalla verità sull’omicidio Scopelliti. Questo è ciò che avrebbe voluto papà. Per la sua terra. Per i calabresi che amava e in cui non ha mai smesso di credere».