un quadro piuttosto concordante di Carmelo Murina (nella foto), l’imputato principale dello stralcio di ordinario del procedimento “Agathos”, scaturito da un’operazione della Squadra Mobile che stroncò gli affari del potente clan Tegano, con riferimento, in particolare, al controllo degli appalti sulla pulizia dei treni all’interno della stazione ferroviaria di Reggio Calabria.
Il nome di Murina, dunque, inizia a circolare, dal punto di vista criminale, fin dai tempi in cui venne ammazzato Salvatore Lo Giudice, astro nascente della ‘ndrangheta reggina. Già in quel periodo, siamo negli anni ’90, la responsabilità dell’omicidio fu riconosciuta in capo di Murina, della cosca Franco e di Cosimo Moschera, tutti esponenti del cartello criminale che prendeva ordini dai De Stefano e dai Tegano. Murina, dunque, avrebbe iniziato a muovere i suoi primi passi proprio all’ombra della famiglia Franco, essendo il genero del boss Michele Franco, attualmente detenuto in seguito all’operazione “Archi”. Secondo Villani sarebbe diventato reggente del rione Santa Caterina sul campo: “E’ uno dei killer più spietati dei Tegano, ha ucciso persone importanti, così è diventato capo di Santa Caterina”.
Un soggetto che avrebbe rivestito un ruolo importante all’interno della ‘ndrangheta, con il grado di Quintino, al pari di Nino Lo Giudice: “Più volte ho accompagnato mio cugino Nino – dice Villani – a delle riunioni a Pellaro da Carmelo Murina, ma non ho mai potuto assistere perché io avevo la carica di Vangelo, mentre loro erano più in alto di me”. Villani individua in Donatello Canzonieri, già condannato a nove anni di reclusione per l’estorsione in danno del bar Malavenda, il braccio destro di Murina: “Tempo fa avevamo aperto un autolavaggio nella zona di San Brunello – ricorda Villani -, poco dopo il nipote di Domenico Stillitano ne aprì un altro lì vicino e glielo facemmo chiudere, senza conseguenze, grazie all’intervento di Canzonieri”. A Santa Caterina le tre famiglie più potenti della città, i De Stefano, i Condello e i Tegano avrebbero individuato dei loro responsabili: Giorgio Benestare per i De Stefano, Domenico Stillitano per i Condello e Carmelo Murina per i Tegano.
Villani è stato sentito in aula, citato dal pubblico ministero Giuseppe Lombardo, che indaga sulle cosche della città, e ha tracciato un quadro piuttosto preciso delle dinamiche criminali esistenti a Reggio Calabria: “E’ un monopolio della ‘ndrangheta, in particolare dei Condello, dei De Stefano e dei Tegano. Sopra tutti gli altri c’è Pasquale Condello, lo chiamano “il Supremo” non a caso”. Villani ha risposto con una certa precisione alle domande del pm Lombardo, riuscendo anche a tracciare, con lucidità, una sorta di gerarchie dei capi carismatici: “Condello e Tegano sono sullo stesso livello dal punto di vista criminale, ma Condello è più feroce, mentre Tegano, se poteva, metteva la pace”. Con riferimento al grado di “Crimine”, apicale nella ‘ndrangheta, Villani è abbastanza sicuro: “Ce l’hanno Pasquale Condello, Giovanni Tegano, Pietro Labate, Ciccillo Gattuso, ce l’aveva Mico Libri”.
“Murina era il reggente di Santa Caterina dopo la morte di Cosimo Moschera, più volte ho fatto da tramite tra i vertici della cosca Tegano e Murina. Ci incontravamo spesso al Bar Sport o da Ligato e Porcino o alla villetta del rione”, racconta Roberto Moio, ascoltato prima di Villani. A Santa Caterina sarebbe venuto dopo solo a Paolo Schimizzi, scomparso nel settembre 2008 per un caso di lupara bianca. E’ Murina, dunque, l’imputato eccellente dello stralcio d’ordinario, visto che i big, compreso il mammasantissima Giovanni Tegano, sono già stati condannati a dure pene nel processo celebrato con il rito abbreviato.
Prima di passare a delineare il profilo di Murina, Roberto Moio, nipote di Giovanni Tegano, ha ripercorso la propria carriera criminale, avviata nel 1982 e sancita, tra la fine del 1985 e il 1986, con l’affiliazione ufficiale: “Fui battezzato in un immobile vicino la chiesa di San Francesco a Sbarre insieme a Giovanni Battista Fracapane, oggi collaboratore di giustizia, insieme a Luigi e Alfonso Molinetti, a Gaetano Marino e Saverio Cavalcante”. Un ingresso nella ‘ndrangheta che si sviluppò, poi, all’interno del gruppo di fuoco di cui facevano parte i fratelli Molinetti e Fracapane, ma anche Giuseppe Rechichi, diventato in seguito socio della Multiservizi, società del Comune di Reggio Calabria, attualmente in carcere. Poi, intorno al 2004, la scelta di Moio di fare da confidente della polizia per la cattura di Giovanni Tegano: “Volevo parlare con il dottore Mollace, in una cena con i funzionari della Questura a Francavilla, in provincia di Messina, ho fornito il luogo dove si trovava Giovanni Tegano che però, forse avvisato da Nino Frascati, riuscì da scappare”. Un comportamento che costò a Moio la diffidenza del clan: “Da quel momento non vidi più Giovanni Tegano, mentre Franco Benestare, in seguito, mi disse che avrei fatto la fine di Schimizzi”.
Nel corso della prossima udienza dovranno riferire sul conto di Murina, altri due collaboratori, Nino Lo Giudice e Umberto Munaò. Insieme a Murina imputati anche Francesco Trimboli, detto “Ciccio Mercatone”, e Giuseppe Morabito, che avrebbe favorito la latitanza del superboss Tegano. A detta di Moio, Trimboli avrebbe rivestito un ruolo nella gestione delle maestranze della New Labor, la ditta di pulizia dei treni sotto controllo dei Tegano: “Trimboli è legato da amicizia fraterna con i Tegano, anche con me ha camminato per undici anni”. Michele Crudo e Giancarlo Siciliano riscuotevano, secondo Moio, le tangenti, mentre un ruolo importante l’avrebbe rivestito il sindacato, con le figure, in particolare di Antonino Barillà, già condannato in abbreviato e, appunto, Ciccio Trimboli: “Il sindacato faceva pressione sugli imprenditori affinché pagassero le tangenti e assumessero maestranze vicine al clan”. Proprio con riferimento agli appalti e alle tangenti all’interno della stazione ferroviaria, Moio racconta di un sistema andato avanti fin dal 2001, quando a lavorare in riva allo Stretto era una ditta di Bari, fino all’avvento, nel 2008, della New Labor.