Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari
di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Scriveva così Pier Paolo Pasolini pochi mesi prima di essere ammazzato.
Ed allora è obbligo di ciascun giornalista tendere – quasi sempre inutilmente, ma comunque tendere – a quell’optimum così mirabilmente indicato da Pasolini.
Il giornalista, cioè, come sensore, come indicatore dell’andamento di una comunità, di un Paese, ma anche come termometro degli umori della gente.
Perché il giornalista parla, ma, soprattutto, il giornalista ascolta. E quando vedete un giornalista che in apparenza si trastulla con la gente, se è un giornalista bravo sta lavorando duro, in quel momento.
Ed allora i sensori ci dicono che il territorio della Provincia reggina, ma anche dall’altra parte dello Stretto le cose non sono difformi, ha perso la reattività, ha abdicato anche alle legittime aspettative di essere rappresentato. Attenzione, non di essere ben rappresentato. Soltanto di essere rappresentato. Il clamoroso voltafaccia che la politica, da destra a sinistra, ha riservato a Reggio in fase di composizione delle liste elettorali ci fa ripiombare indietro di trent’anni, quando la città era un fantasma, una sorta di ectoplasma.
Ed il giornalista, come detto, sente, quasi fiuta l’aria, il sentire collettivo.
E non è un bel sentire, soprattutto nei confronti di quella politica che dovrebbe tenere dritta la barra di un timone che, invece, pare portarci sempre più alla deriva.
Un importante imprenditore della nostra provincia, uno di quelli che sa come gira il mondo, ma anche come, invece, dovrebbe girare, mentre strusciava lentamente il cucchiaino nella tazzina del caffè valutava: “E’ troppo comodo indicare in “Roma” il colpevole delle scelte, è troppo stupido pensare che Reggio e la sua provincia non siano capaci di esprimere candidature di un certo livello; forse la responsabilità va ricercata dove tutti i politici di professione non vogliono che vada ricercata, e cioè nella loro inconsistenza: quarta materia, né solidi, né liquidi né gassosi, impalpabili. L’idea di contare resta solo un’idea, questa classe dirigente espressione di Reggio e della sua provincia non conta nulla”.
Pesante? Può darsi.
Vero? Certamente verosimile, ma, purtroppo c’è di più.
L’insofferenza cresce, monta giorno dopo giorno. Monta perché sono sempre di più le persone che vorrebbero chiedere a chi continua, nelle scelte, a tagliare fuori il territorio, le sue vocazioni ed istanze, di farsi da parte.
“Non saranno loro a farsi fuori però” – sottolinea ancora chi sa- “non si può chiedere al tacchino di fare il pranzo di Natale; bisogna quindi delegittimarli palesemente: non chiamarli più, non chiedere favori, farli vivere nella loro solitudine, perché tanto di problemi non ne hanno mai risolti e mai ne risolveranno. Siamo di fronte, in sostanza ad un vero e proprio millantato credito”.
Ed intanto la Calabria, continua a collezionare figuracce.
E, soprattutto, figuranti…
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