di Giusi Chirico
Si discute di Area metropolitana dello Stretto con riferimento alle relazioni esistenti tra due città, Reggio e Messina, separate e unite nel destino e nella storia dal medesimo braccio di mare. Il concetto di area metropolitana, come risultato dell’interazione tra più centri,
presupporrebbe l’esistenza di un’efficiente rete di infrastrutture a supporto di scambi materiali e immateriali. Tuttavia la realtà che subiscono, di fatto, le migliaia di studenti e lavoratori che quotidianamente attraversano lo Stretto, assume un contorno nettamente differente, ossia quello di un’insufficiente offerta e coordinamento dei collegamenti tanto nel raggiungere i luoghi di partenza quanto, soprattutto, nel fruirne i servizi senza soluzione di continuità.Uno squarcio di luce sembra essere stato aperto: come promesso dal ministro dei trasporti Alessandro Bianchi, dei 100 milioni di euro previsti per potenziare il sistema dei collegamenti in quest’area, 30 milioni dovrebbero essere specificamente destinati ad incrementare entro un anno i servizi veloci della metropolitana del mare, sollevando i pendolari da un incubo che dura ormai da troppo tempo.Cerchiamo di inquadrare la condizione attuale di chi solca lo Stretto iniziando dal porto di Reggio, polo su cui insiste l’intero centro di una città ma che non è autosufficiente nel garantire e diversificare gli spostamenti.
Per il collegamento con Messina, limitatamente al trasporto passeggeri, l’unico vettore di cui usufruire è Bluvia, società incorporata della RFI. La Ustica Lines, con due corse giornaliere, non costituisce integrazione alla mobilità, e le varie compagnie alternatesi nel tempo sono riuscite solo per brevi periodi ad affermarsi come concorrenti, finendo prima o poi per scomparire.
Stiliamo un bilancio. Bluvia si avvale di mezzi relativamente nuovi e sicuri, inaffondabili in condizioni meteorologiche avverse, tranne in caso di collisione.
Ciò riporta dolorosamente alla memoria la tragedia del Segesta, a distanza di un anno dalla quale la sicurezza nello Stretto è stata incrementata con l’attivazione del sistema radar VTS, mentre il deficit di questa unità di traghettamento non è stato colmato, con le complicazioni che ne derivano.
Il numero di navi, ridotto a due (Tindari e Selinunte), origina il principale disagio dei pendolari: destreggiarsi quotidianamente tra orari di corse insufficienti per conciliare i tempi imposti da lavoro o studio. Il disagio si acuisce quando una delle due si ferma, come puntualmente accaduto per la manutenzione del Selinunte prima e del Tindari poi, quest’ultimo rientrato in servizio solo il 7 gennaio scorso: al danno delle conseguenti e arbitrarie soppressioni di corse anche in orari nevralgici, si è aggiunta spesso la beffa di restare a terra, dopo aver pagato il biglietto, in un clima di ressa a causa del sovraffollamento. Le navi, infatti, accoglierebbero circa 500 passeggeri ma solo se presente un proporzionato numero di membri dell’equipaggio…
Ad oggi si effettuano tredici corse giornaliere da Messina e altrettante da Reggio, ridotte a sette nei festivi. Gli spostamenti della mattina coprono in qualche modo la domanda, ma da metà giornata perdere una navetta significa dover aspettare anche un’ora e mezza quella successiva, attesa a cui sommare i trentacinque minuti abbondanti necessari per attraversare lo Stretto e far ritorno a casa. Chi deve raggiungere la provincia, per questo effetto “domino”, perde preziose coincidenze con altri mezzi. Dopo le venti e dieci, orario dell’ultima navetta, da Reggio tutto tace.
Tutto ciò, si ricordi, accade se la situazione è “regolare”, cioè in assenza di paralizzanti scioperi, ritardi e soprattutto se il tempo non fa capricci.
Parentesi: in caso di pioggia, vento o sole cocente, il porto di Reggio è attrezzato di una pur piccola sala passeggeri, in attesa della costruenda stazione marittima. A Messina non esiste neanche una pensilina sotto cui ripararsi umanamente dalle intemperie.
Nei giorni in cui il maltempo imperversa costringendo le navi da Reggio a fermarsi, il porto di Villa S. Giovanni diventa l’unico punto di partenza, obbligatorio invece, anche grazie al buon collegamento con la rete ferroviaria, per i molti pendolari che si muovono all’alba o di notte. Qui la situazione assume la differente prospettiva di un’offerta diversificata di mezzi di trasporto che supera la domanda.
Da Villa si spostano mezzi e passeggeri, e anche qui si segnala l’inefficienza della RFI che, a dispetto degli slogan lanciati all’epoca dell’inaugurazione del trasporto Bluvia su gomma, non garantisce nè puntualità delle corse nè servizio sicuro: si pensi ai ripetuti e imbarazzanti incidenti della nave Budelli.
Villa, tuttavia, offre un’alternativa costituita dalla rete privata della Caronte & Tourist, affidabile e sicura: le navi partono ogni quaranta minuti e in poco più di venti si giunge sull’altro versante. La regolarità delle corse quantomeno rinfranca gli animi ma restano sempre tempi di attesa lunghi, che nella notte si dilatano complicando pesantemente la vita dei lavoratori.
Gli aspetti negativi sono la distanza dalla città e gli approdi decentrati rispetto alle zone in cui spesso sono ubicati università o luoghi di lavoro, che determinano la necessità di ricercare collegamenti con più mezzi di trasporto.
Insomma, la vita del pendolare è un dedalo di coincidenze e attese, dalla nave al tram, al treno, al pullman, che pesano notevolmente nell’economia del tempo: ciò che fa più rabbia non è solo il sacrificio o la difficoltà, quanto sperimentare che, in un’epoca che collega in un fiat continenti diversi, accade di impiegare meno tempo in un viaggio aereo per arrivare a Roma che in uno per toccare l’altra sponda, e non a causa di quei pochi chilometri di mare da percorrere.
Instancabili sono state le voci levate dal Comitato per i pendolari dello Stretto, attivo nel sollecitare interventi delle istituzioni, nella difficoltà di trovare risposte immediate dagli ambienti politici.
La realtà, per ora, resta quella che è. Attendiamo la realizzazione di quanto promesso, sperando che i pendolari non debbano aspettare ancora molto.
Almeno in questo caso.