di Eleonora Scrivo – Ottobre e la vendemmia sono due topos letterari che hanno ispirato poeti bucolici o semplicemente amanti degli alcolici. Riferiti a me, simboleggiano uno dei più evidenti
lati antisociali della mia personalità.
Appartengo, infatti, alla sparuta compagine degli astemi naturali, coloro che, ahimè, non sono ex bevitori convertiti, non hanno scelto per motivi etici/religiosi/scientifici, di tenersi alla larga da vino e dintorni, ma provano un senso assoluto di nausea al solo odore dell’alcol.
Tutto ciò, originariamente, non mi sembrava un grande ostacolo sociale, tranne quando mi trovavo a tavola con i miei fratelli che mi commiseravano esplicitamente, come gli iniziati ad un rito dal quale ero esclusa per una misteriosa violazione del codice genetico. Ingenua, pensavo che fosse uno dei passaggi obbligati della conflittualità tra fratelli, assieme al tifo calcistico e alla maggiore o minore attitudine all’igiene personale, ma mi sbagliavo.
Edipo non c’entrava nulla e nemmeno Elettra e la psicoanalisi con le teorie della sana competizione. Io avevo uno stigma e non lo sapevo. L’ho scoperto negli anni, quando a tavola con amici, colleghi e amabili compagnie, al momento di servirsi da bere, declinavo.
Alla domanda costernata “non bevi proprio nulla” e al mio successivo, sempre più contrito, “no” di risposta, vedevo dipingersi, di volta in volta, sul viso dei miei interlocutori, nell’ordine, preoccupazione, sospetto, pena, delusione, in un climax, rigorosamente ascendente.
Questa carenza, unita al fatto che non fumo e non gioco neanche a carte, apre automaticamente la strada a numerose interpretazioni comportamentali che vanno dalla tensione all’ascesi, alla ricerca spasmodica del controllo. Io provo ad obiettare che davanti alla carbonara, alla pasta e fagioli riposata, ad un dribbling di Vucinic, perdo tutti i freni inibitori, ma ormai i giochi sono fatti.
Qualcuno più ardito mi ricorda, ammiccando che Bacco, tabacco e Venere camminano insieme, che se voglio che la ruota della mia vita riprenda a girare, non posso trastullarmi solo nell’ozio creativo, benché padre di tutti i vizi, al ché, fortemente condizionata, non mi rimane che consultare la saggezza di zia Orsola.
La quale, sorseggiando, come di consueto, il suo sidro di mele, a fine pasto, mi ricorda che sono l’unica nipote con la quale parla, perché molto discreta, con me è tranquilla, in quanto ho fatto del detto acqua in bocca, una ragione di vita. Forse anche lei, con garbo, mi prende in giro, ma lo fa talmente bene che mi sento, inevitabilmente, rassicurata. Prosit!