di Giusva Branca – Lui si chiama Rodolfo De Dominicis ed è il commissario delegato del Governo per la Gestione del Piano di Sviluppo per il porto di Gioia Tauro. In poche parole colui il quale tiene la barra del timone che dovrà portare lo scalo di Gioia a diventare il faro dello sviluppo calabrese
oppure l’ennesima – forse ultima – occasione persa.
In una nota inviata al “Sole 24 Ore” De Dominicis analizza, a margine delle valutazioni funzionali al porto gioiese, la situazione generale della Calabria.
La sua analisi è lucida ed impietosa: rappresenta una Calabria statica, ferma, più che governata sapientemente gestita da gruppi di potere che la tengono sapientemente bloccata, lontana dalle vie dello sviluppo per intercettare al meglio i flussi finanziari.
L’Università incide poco o nulla sul territorio e, soprattutto, l’impresa locale non riesce ad individuare, prima ancora che fare il “suo” business.
L’analisi, per grandi linee, coincide in maniera evidente ma non sorprendente con quanto da noi rilevato giorni addietro in “Chi si è mangiato la Calabria?”
Ma, al di là delle idee, più o meno coincidenti, ciò che preoccupa di più è la stasi assoluta della parte che dovrebbe in qualche modo spingere, tracciare la via per la Calabria, soprattutto in fase di incipiente federalismo.
Insomma, la sensazione è che la Calabria possegga anche le potenzialità per farcela da sola; il dubbio che avanza ogni giorno di più, come la “linea della palma” di sciasciana memoria, è che alle spalle di queste potenzialità sussista, da parte di chi deve spingerle e sfruttarle, la reale volontà e, perché no, la capacità di cambiare marcia.
E, soprattutto, di cominciare ad indicare una rotta, una linea di sviluppo.
Un percorso che sia reale e, finalmente, made in Calabria.
La sfida finale è questa, perderla significherebbe autocondannarsi al sottosviluppo.