Di Anna Foti – Il talento per la musica e per il diritto ed anche quello per le lingue classiche e la poesia contraddistinsero la vita di Saverio Mattei vissuto tra il 19 ottobre 1742 e il 31 agosto 1795, tra la Calabria e la Campania. Nacque a Montepavone (oggi Montepaone nell’attuale provincia di Catanzaro) e visse e morì a Napoli. Figlio di proprietari terrieri, da giovanissimo poté permettersi di studiare al seminario arcivescovile di Napoli dove apprese il Greco, il Latino e l’Ebraico. In particolare questa formazione segnò il contributo che fu capace di offrire, anche con l’ausilio di illustrazioni, ad una diffusione più allargata dei testi sacri e biblici al di fuori degli ambienti squisitamente colti. La prima pubblicazione recava il titolo di “Exercitationes per saturam“. Aveva solo 17 anni e già una spiccata capacità di tradurre in poesia, in lingua italiana, i salmi biblici. Nel 1766 pubblicò a Napoli il primo dei tre tomi (poi sei e otto nelle edizioni successive del 1774 e del 1779) dell’opera “I libri poetici della Bibbia tradotti dall’ebraico originale, ed adattati al gusto della poesia italiana… “. Profondamente convinto della maggiore autorevolezza degli strumenti musicali antichi rispetto ai moderni, sostenne con vigore che il connubio con la poesia avrebbe potuto accrescere il valore della musica del suo tempo e consentito, come accadde per la poesia di Metastasio, di elaborare un linguaggio raffinato in grado di competere con la tragedia greca. Questa fu la posizione adottata nell’ambito della diatriba con il biblista francese Augustine Calmet che invece riteneva gli strumenti antichi fossero pienamente imitabili. Con l’opera intitolata “Elogio del Jommelli o sia Il progresso della poesia e della musica teatrale” entrò in forte polemica anche con il musicista francese Gluck. Il tema era quello di una asserita riforma del melodramma. Per Saverio Mattei la musica era un’arte popolare ma questa convinzione non fu condivisa da tutti. Ciò non gli fu di ostacolo e fu comunque molto apprezzato per la sua ecletticità e la sua sapienza in diversi campi. Fu addirittura incaricato dal 1768 di comporre cantate celebrative per i sovrani da eseguirsi nella cornice del maestoso teatro di San Carlo di Napoli.
Si sposò due volte ed ebbe cinque figli – due di loro presero parte ai fatti della Repubblica Napoletana del 1799 – e accanto alla sua ricca e prolifera attività di filologo-linguista, letterato-intellettuale, musicista-esperto di musica e di storia della musica, suonatore di salterio, arpa, flauto, teologo, grecista e poeta di formazione, per una vita più agiata si dedicò anche all’avvocatura. Anche in questo ambito conseguì importanti risultati e fu autore di note pubblicazioni come quella del 1787 incentrata sulla riforma giudiziaria, con particolare riferimento alla giustizia militare. Un’opera di profonda ispirazione moderata, intrisa del pensiero di Cesare Beccaria che recava il seguente titolo: ” Che la dolcezza delle pene sia giovevole al Fisco più che l’asprezza. Paradosso politico e legale di S. M. S’aggiunge la Costituzione emanata ultimamente in Toscana sulla riforma del Codice Criminale”. Dopo essere stato nominato fiscale dell’udienza generale di guerra e casa reale nel 1786, a Roma si occupò dell’Ufficio postale del regno di Napoli. Nel 1790 fu nominato delegato del conservatorio della Pietà dei Turchini, dove poté anche esprimere la sua passione musicale, rinnovando il conservatorio e istituendo l’archivio filarmonico e la biblioteca musicale. Nel 1795 fu nominato avvocato fiscale delle poesie di corte e delle rappresentazioni teatrali nella Deputazione dei teatri e spettacoli.