Riceviamo e pubblichiamo – “Capita che, in certe tiepide giornate primaverili, sopraggiunga il desiderio di gravare sul Sistema Sanitario Nazionale, imbucandosi al Pronto Soccorso. A giudicare dall’atteggiamento da parte di alcuni membri del personale, tale prassi è ormai nota e – pertanto- contrastata con destrezza. Riconosco, dunque, la sconfitta e con la presente mi autodenuncio, così da scoraggiare altri furbetti.
Lunedì ho approfittato di una forte infiammazione all’occhio destro per farmi visitare: un soggiorno breve ma tutto sommato piacevole. Sala d’attesa quasi vuota, tempi d’attesa ridotti, una visita specialistica con una dottoressa competente, con tanto di terapia ad hoc. Ho pagato il ticket a cuor leggero. Con gioia, quindi, ho colto l’occasione di tornare il giorno dopo a causa di un provvidenziale aggravarsi della situazione. Nonostante si trattasse della medesima patologia, ho dovuto ripagare il ticket. Alle mie rimostranze, giacché ero ormai convinta di poter usufruire di un conveniente pacchetto vacanza, hanno risposto che era necessario per impedire che ognuno facesse “quello che vuole, facendosi visitare a piacimento”. Colgo la frecciatina, tanto il rischio di non aver soldi è un problema da poveri, mica mio… e mi dirigo senza fiatare dalla dottoressa che mi aveva visitato il giorno prima. La scelta di mantenere un profilo basso si rivela vincente così, generosamente, lei mi prescrive perfino una tac. Tremante dinnanzi ad una tale inaspettata opportunità, mi dirigo nuovamente al Pronto Soccorso. Ben più scaltro, il dottor G. si rende conto del mio opportunismo, e con nobile indignazione mi segnala la differenza tra “Si richiede” e si “consiglia”, asserendo che una tac, anche in presenza di un’evidente tumefazione dell’occhio, non fosse necessaria. Mi invita a non approfittare del Pronto Soccorso, e con forza mi invita a tornare nei giorni successivi. Io avevo ordito il piano nei dettagli, e quindi sapevo con sicurezza che tale prestazione non poteva essermi negata. Con una faccia tosta di cui ancora mi vergogno, persisto nel mio progetto, puntando sulla compassione… e ottengo l’esame. Ma non pensate che fossi riuscita a convincerlo o impietosirlo: mi congeda con un gelido “glielo faccio fare solo perché si agita”. Una quarantina di minuti dopo, mi convoca e quasi mi lancia il referto negativo della tac con sdegno, confermandomi che non c’era nulla. Obiettivamente ci rimango un po’ male, perché – nonostante il suo atteggiamento negativo- davvero ero convinta di poter continuare il mio giro su e giù per i reparti. Compresi quelli in cui non vuole andare mai nessuno, perché sono un tipo alternativo. Ci tengo comunque a precisare che adesso l’ho capito che un esame che non riveli una patologia grave è un po’ uno spreco. La prossima volta che avrò bisogno di rassicurazioni, infatti, mi limiterò a lamentarmi su Facebook, senza speculare a spese dei contribuenti. A tutti i furbetti che richiedono controlli approfonditi consiglio almeno di procurarsi prima qualcosa di grave, che tanto poi vi scoprono e vi fanno pure la ramanzina. Mica sono scemi eh. Alla fine sono riuscita ad ottenere solo una terapia antibiotica e la promessa di ulteriori controlli, ma ho deciso di non approfittarne: trascorrerò questi giorni di riposo forzato sensibilizzando la gente come me. È evidente, infatti, che il clima di sospetto sia dovuto a noi… che magari pretendiamo di risparmiare millantando malattie, ingannando professionisti che, in fondo, cercano solo di fare il loro lavoro. Non posso pensare che si tratti di imbarbarimento e /o mancanza di empatia (proprio da parte di chi dovrebbe esserne maggiormente dotato!), o che il mondo si stia in qualche modo incattivendo. Non lo posso fare perché mi sembrerebbe di mancare di rispetto a chi, invece, in questi giorni mi ha accolto con garbo e competenza“.
MARIANNA CERETO