di Anna Foti – Ha raggiunto il fratello Antonio che era morto tra le sue braccia il 10 luglio del 1991, freddato da mano mafiosa per difendere dalla tracotanza mafiosa le terre di famiglia, 12 ettari coltivabili a Castellace, frazione di Oppido Mamertina, zona tirrenica di Reggio Calabria.
Quella mattina l’arma del killer puntata contro di lei si era inceppata, consentendole di sopravvivere. Teresa Cordopatri dei Capece qualche giorno fa se n’è andata in punta di piedi, dopo una vita di battaglie per la verità e la giustizia sulla morte di suo fratello, sul contesto mafioso in cui era maturato e sulla proprietà degli uliveti di famiglia. Aveva instancabilmente stimolato l’impegno dello Stato e della Cittadinanza per il perseguimento dei valori Legalità con la sua testimonianza ed anche con le sue proteste, figlie di anni di denunce sporte dal fratello e dal padre Domenico prima, sentinelle inascoltate della sopraffazione e della violenza mafiose divenute quel 10 luglio 1991 drammaticamente evidenti.
Soprannominata baronessa coraggio, ‘baronne courage’ come aveva scritto di lei il quotidiano francese “Le Figaro”, Teresa Cordopatri, dopo l’omicidio di suo fratello posta sotto scorta, era innanzitutto una donna forte, combattiva e generosa. La sua nobiltà non era certamente determinata dai titoli, che pure c’erano, ma dagli intenti che hanno animato il suo impegno al fianco dello Stato in cui ha a lungo creduto, nonostante le delusioni e le amarezze, e al fianco degli Ultimi ai quali non ha fatto mai mancare il suo sostegno.
“Durante quegli oltre venti giorni di protesta davanti al tribunale di Reggio Calabria, ebbi il dono di conoscerla – racconta Bruna Mangiola, gruppo Masci RC 4 “Monsignor Giovanni Ferro” di Reggio Calabria – e di ascoltare la sua storia. Le portai una brandina e da allora nacque un’amicizia autentica. Era una baronessa, nobile di titolo e di fatto, ma per me era Teresa, l’amica che spesso mi chiamava per offrire il suo aiuto come fece anche due anni fa quando, in occasione del consueto momento conviviale di fine gennaio con il Masci, volle donare lei il pranzo alle persone in difficoltà. Era una donna straordinaria che non dimenticheremo”, ha concluso Bruna Mangiola.
Negli ultimi anni Teresa era tornata a Castellace, in quegli uliveti per difendere i quali il fratello era stato ucciso per mano del clan Mammoliti che pretendeva di acquistarli a prezzo stracciato, ed insieme alla cugina Angelica Rago Gallizzi, compagna di lotte e di impegno, aveva tentato di rilanciarne la produttività. Un progetto nel quale si sentì tuttavia abbandonata.
Le delusioni e il dolore non sono mancati ma la sua indignazione e il suo desiderio di riscatto erano più forti come si evince da queste sue parole: ‘Non avrei voluto ristabilire la verità sulla proprietà dei terreni, la libertà di operarvi senza cedere alle angherie dei mafiosi al prezzo della vita di mio fratello, ma la Fede che profondamente mi anima, mi guida al perdono ed al desiderio di infondere speranza lì dove è stato sparso del sangue innocente’.