di Josephine Condemi (foto Antonio Sollazzo) – “Nel 2003, se ci fossero stati Fb e Twitter sarebbe stato molto difficile per l’amministrazione continuare la politica che stava facendo…” :
così Stephen Anderson, portavoce dell’ambasciatore USA in Italia dal palco di Tabularasa.
“Duecento anni fa, per fare diplomazia ci si metteva la feluca e si faceva il giro delle corti, interloquendo con i nobili; poi c’è stato il periodo di interazione con le élite, e la presenza sui mass media… oggi, siamo in una fase nuova”. Anderson presenta la diplomazia dal volto umano con un video su Halloween e spiegando come “dopo sette anni di guerra, il governo si è reso conto del basso grado di apprezzamento della politica USA a livello mondiale: il sottosegretario Glassman nel suo studio ha individuato che, oltre alla guerra, i motivi erano l’incomprensione della politica e dei principi sottesi nonché la percezione di autoreferenzialità, come se gli americani non tenessero in conto i pareri esterni. Per anni la public diplomacy è stata unilaterale, ma non potevamo cambiare la percezione della gente gridando quanto siamo fantastici: nello stesso periodo, sono esplosi i social media, e abbiamo capito che se non stai lì, parleranno di te comunque, quindi è sempre conveniente instaurare un dialogo… la percezione è importante, perché la percezione diventa realtà”. A cercare dichiarazioni meno diplomatiche , Sandro Provvisionato con la sua pluridecennale esperienza di cronista: “voi la chiamate public diplomacy, noi la chiamiamo propaganda… magari si fosse avuta prima questa apertura! (non è un caso che l’input forte si sia avuto con l’amministrazione Obama) ma mi chiedo: i social media quanto sono manipolabili?” “Qualsiasi forma di comunicazione è manipolabile: anche i regimi usano Twitter e Fb creando account falsi e scrivendo post antigovernativi per stanare gli oppositori… noi però vogliamo essere dalla parte giusta della storia, aiutando i popoli che vogliono liberarsi dai regimi ad utilizzare le tecnologie bypassando la censura”.
Provvisionato non si fa scappare l’assist: “E perché alcuni paesi li aiutate e altri no?” Pronta la risposta: “La prima regola nella diplomazia è non rispondere ad una domanda ipotetica perché poi quando diventa concreta sono guai… lo facciamo quando possiamo: non ci sono paesi scelti, ma ogni paese è differente e seppure coerenti dobbiamo usare diversi strumenti per diverse occasioni” “In Israele però è forte la censura” “C’è una situazione difficile, su Youtube si trovano video da una parte e dall’altra… noi appoggiamo il risultato di due stati diversi”. Anche perché, sembra dire Anderson, ognuno ha il proprio ruolo: “io sono un funzionario, il vostro ruolo è quello di chiedere trasparenza”. Fino a un certo punto, però: “c’è un ruolo per l’informazione e un ruolo per la secrecy… noi dobbiamo poter interloquire con i governi garantendo la privacy dei colloqui. Wikileaks è stato un furto di informazioni, un atto non democratico ma anarchico”. E se “la diplomazia si sta democratizzando con il tempo”, Anderson ci tiene a precisare che “dati e informazioni non significano conoscenza. Qui entra in gioco il giornalismo, ancora più importante nell’era di Internet perché capace di spiegare i contesti, i retroscena dietro le informazioni”. Ma perché ci si orienti nel web e nella democrazia 2.0, in un paese dal forte analfabetismo digitale come il nostro, ha sottolineato Provvisionato, “il senso critico non può che svilupparsi nella scuola”. Formazione, informazione, trasformazione, al confine tra apertura e chiusura. L’ennesima frontiera.